Villapiana-19/06/2012:Pennellate di emozioni di Giovanni Cataldi (di Pina Basile)

Pennellate di emozioni di Giovanni Cataldi

di Pina
Basile
Quando si parla di Giovanni Cataldi non si  argomenta solo
attorno all’artista, ma anche di Cataldi autore del volume: ‘U
Signur’ Maiestr’. Racconti, Casa Editrice  Centro d’Arte Sybaris, Sibari,
1998.           Sul frontespizio rifulgono col breve smalto di azzurro e
viola che raccontano: un uomo pensante, una ionica anfora e un rustico pane.
Protagonista dei racconti è Matteo, un insegnante elementare, che all’inizio
della sua carriera, ha come sede le scuole di campagna di Albidona,
Alessandra del Carretto, Trebisacce: immagini, personaggi, episodi, tutti
sono visibili nella sua mente e nel suo cuore, dipinti con tocchi di
emozioni.           Per dare il “sapore” di un tempo, è il caso di
riportare brani
dei racconti, perché ogni sintagma, ogni proposizione
racchiude una visione,
una storia, un contributo di vicende sociali, la cui
conoscenza è
indispensabile per comprendere il fondamento di condizioni e
situazioni in
parte ancora attuali.
Il tutto è esposto in uno
stile vivace, agile, interessante,
colloquiale.
«Quando la corriera ripartì e lasciò il giovane

maestro in aperta campagna, il sole era     già alto nel            cielo e

illuminava un piacevole paesaggio collinoso, ricoperto di vecchi ulivi. Le

foglie già ingiallite e      variamente colorate dei peri e dei mandorli

aggiungevano una nota di                colore al verde argentato degli

ulivi. La         fresca aria ottobrina sussurrata tra le foglie ricordava

che si era già in autunno. Ma dov’era la scuola di S.             Elia?»
(“S.
Elia” è solitaria contrada, pur       tuttavia privilegiata, fortunata,
perché
dotata di una scuola!     È l’incipit del primo racconto dal
titolo emblematico: La prima
>supplenza e la valigetta di cartone – anno
scolastico 1955-56.
Venature di vita interiore pulsano nelle
pagine di Giovanni
Cataldi … «Mentre si avviava a salire per la collina, la
sua attenzione fu
attirata dalle voci di alcune persone … Il contadino non
era vecchio, ma
già camminava curvo, certamente a causa del lavoro. Aveva
un’aria
intelligente, gli occhi azzurri e un sorriso aperto … Egli stava
arando
con i buoi: la sua dstra impugnava l’aratro di legno, il cui vomero

penetrava nel terreno soffice e rossiccio; la sinistra stringeva il pungolo

con cui punzecchiava gli animali, chiamandoli  affettuosamente per nome come

fossero persone. Dietro l’aratro seguiva la moglie Rosa, una bella donna,

formosa come le Pomone di Marino Marini e rosea in viso come le spose di

Chagall … e più avanti c’era un ragazzo di nome Salvatore, intento a

frantumare le zolle con la zappa».

Il maestro è a scuola:
l’alunno lo ascolta incantato, le voci
della natura lo circondano, il vento
gli porta ora il pianto d’una mamma ora
l’allegro canto di un contadino. E
d’inverno? L’incantata meraviglia del
giovane maestro alla visione della prima
neve, di quel candore che tutto
ricopre.
«Le
ore più tristi erano, invece, quelle del
tramonto, quando sembrava che l’anima
volasse via con la        luce del
vespero. Ogni mattin il maestro saliva in
cima al colle, e con un grosso
campanaccio chiamava a               raccolta
gli scolari … Al loro
arrivo, la scuola si rianimava come per incanto … la
squallida stanza
diveniva   un’aula autentica, un centro di vita operosa».
Non è storia di pura fantasia questa di Giovanni Cataldi,
ma
la quotidiana storia di se stesso in lontani anni scolastici. Sono pagine

autobiografiche, catturate dai sentieri della memoria, scritte con limpida

semplicità e con l’orgogliosa fatica di chi supera da sé gli ostacoli, le

privazioni, le paure; di chi sfida il “destino” della Scuola nelle zone

periferiche d’Italia negli anni ’50, il “destino” di tanti maestri

meridionali.
«La sua vita di
maestro era strettamente legata a
quella dei contadini, con i quali
trascorreva molte ore    della giornata.
Era un modo per ingannare il tempo,
ma era anche l’unico modo per conoscere
da vicino quella
gente, e “vivere” dall’interno il loro
mondo semplice eppure tanto ricco di
umanità; un mondo carico anche di
tanti problemi, molti dei quali sconosciuti
agli apparati governativi e alle
stesse autorità scolastiche».
Matteo  con la sua forza interiore, con la linfa segreta della

sua sensibilità e della sua cultura, trasforma il tutto in una parentesi di

gioia serena e compie armonicamente la sua missione sociale, culturale e

umana.        Reale e ideale si congiungono nella trama dei racconti.
Le
persone, gli alberi, gli animali, tutt’insieme combattono una guerra, ma è

guerra d’amore: l’uomo e la natura, la cultura e l’ignoranza, la povertà, la

semplicità, la bontà, si pongono amorosamente in lotta per conseguire

un’epifania di equilibri, per esaltarne la vita e i suoi misteri.

«… la campagna (in
aprile) era una festa e un
tripudio di colori e di canti nuovi; una vita nuova
scaturiva dalle viscere
della terra e prendeva corpo nelle mille sfumature dei
fiori, degli alberi e
dei cespugli. Il giallo intenso delle ginestre si
staccava fra il verde
tenero dei prati e l’ocra delle colline di Farneta, un
villaggio     di
quattro casette, sparse qua e là come pecore di un gregge. Le
grandi querce
attorno alla Scuola, lo invitavano alla loro ombra, dove Matteo
amava
trascorrere molte ore a leggere e a schizzare disegni. Il paesaggio,
quasi
fiabesco, ricreava mirabilmente nella fantasia del giovane maestro una

idilliaca atmosfera campestre, nella           quale sembrava che la

mitologia si tingesse dei colori della favola, come nelle secentesche tele
di
Ponsain e di       Domenichino»           Giovanni Cataldi,
artista-scrittore, in una efficace e
delicata sintesi di uomini e cose, di
immagini e colori, ha immortalato un
lembo di terra, la mia terra!

Ricorderà, ancora, perché eternata nella sua memoria
quell’antica
cappella di S. Elia eretta nell’anno mille dai monaci
basiliani:
«E proprio lì, dove un giorno risuonavano i canti e

le invocazioni, ora, specie di notte, si avvertivano i       sibili sinistri

della fredda tramontana che, in filandosi nelle crepe dei muri e delle

tegole, si modulava in suoni         diversi, ora simili a  canti sommessi

ora a lamenti di anime in pena, ora a bisbigli di fantasmi!».

E allora, quando l’artista Cataldi dipingerà la muta luna
che
vaga nel buio per irrorare d’argento la verdeggiante campagna – altro
non è
che quella alessandrina luna  –  ora racchiusa nella sua psiche, dove
nessuno
mai potrà udirne le segrete parole di felicità o di malinconia.