Amendolara-25/06/2013: A pàrmadija ‘i Pinocchio

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Prefazione

 

 

 

 

Il Pinocchio di Collodi (al secolo Carlo Lorenzini) è uno dei testi più diffusi e letti dell’editoria mondiale e certamente il più conosciuto nell’ambito della letteratura per ragazzi. La sua fortuna è legata alla storia di un simpatico burattino, nato dalla fervida fantasia dell’Autore, le cui avventure ripercorrono in tutto e per tutto il cammino esistenziale dell’essere umano. Le vicende che lo vedono protagonista testimoniano pienamente non solo l’autenticità dell’età infantile e i sentimenti più profondi che in essa albergano (il desiderio della disobbedienza e la tendenza all’anticonformismo), ma anche il processo di formazione della personalità e del senso morale cui va incontro l’individuo nel corso della vita, attraverso un rapporto sofferto e doloroso tra la spinta alla trasgressione e il senso della realtà, tra la volontà di vivere, assecondando le proprie emozionalità, e la tensione della razionalità che spinge le emozioni verso la responsabilità e il dovere. Pinocchio, però, non è solo questo. Esso è anche rappresentativo della realtà storica del suo tempo, quella di un’Italia ancora bambina, da poco pervenuta all’Unificazione e alle prese con una serie di problemi di ammodernamento del suo apparato produttivo, istituzionale e culturale che preoccupano non poco le classi dirigenti dell’epoca. In una realtà siffatta Pinocchio, al pari del Cuore di De Amicis, si fa interprete delle aspirazioni della borghesia evoluta del tempo ad esercitare la propria egemonia sulla giovane società italiana, funzionando per questo come un formidabile strumento di formazione della coscienza nazionale. C’è infatti nei due scritti una effettiva convergenza tra la loro vocazione pedagogica e la moralità borghese del tempo, basata su un corpus di valori e di modelli etici e sociali di riferimento fortemente caratterizzati, tra i quali spiccano l’etica del sacrificio e la virtù operosa del lavoro, perché soltanto con l’impegno e il contributo continuativo e concorde di tutte le componenti della società l’Italia post-unitaria avrebbe potuto vincere la sfida della modernizzazione. Rispetto all’altro capolavoro della letteratura nazionale per ragazzi, però, nel testo collodiano non figurano alcuni valori identificativi dell’identità nazionale quali l’amore per la patria, la solidarietà tra le classi sociali e il culto della famiglia. Ciò si spiega con il fatto che il riferimento geografico e sociale del Collodi non è la realtà urbana della Torino degli anni ’70-’80, evoluta e interclassista (ben descritta dall’opera deamicisiana), ma la Toscana rurale e contadina afflitta dalla povertà e dalla miseria. Due Italie, dunque, quelle che propongono i due autori: due entità che ben rispecchiano la dualità originaria della Nazione che la vocazione pedagogica dei due scritti tende a superare ma che 150 anni di storia italiana purtroppo confermano nella sua cruda realtà.

Fin qui l’aderenza di Pinocchio al contesto storico che ne ha propiziato la nascita, ma non il successo che è invece da ascrivere quasi per intero alla straordinarietà del personaggio uscito dalla penna creativa del Collodi. La vitalità che il burattino sprigiona nella sua “legnosità semi-umana” spinge il lettore ad entrare nella dimensione narrativa del racconto e a rivivere il desiderio nascosto della trasgressione, della violazione delle norme, del superamento della soglia che separa il mondo delle regole condivise dalla dimensione allegorica di un mondo rappresentativo di una realtà alla rovescia. Il lettore penetra nell’universo di Pinocchio, si appropria dei suoi pensieri, dialoga con lui, ne comprende la psicologia e partecipa con umana simpatia alle sue disavventure. Questo genera un distacco del personaggio dal suo autore, sicché il “capolavoro scritto per caso”, come è stato definito, finisce per attribuire un’esistenza autonoma al burattino che rivive nel lettore di ogni età. Con Pinocchio si celebra una scrittura segreta che agisce nella testa di chi legge come una sorta d’incantamento che innesca il gioco delle incontenibili “corrispondenze impensate”, cioè quella misteriosaspinta a riscriverne il testo che ha generato un’infinità di interpretazioni, adattamenti, rifacimenti e imitazioni che hanno fatto di esso uno dei testi più riscritti e decrittati della letteratura mondiale. Ne sono testimonianza non solo le traduzioni nelle tante lingue del pianeta cui ha dato luogo nel corso dei suoi 130 anni di vita, ma anche quelle in alcuni dialetti del variegato panorama linguistico italiano.

Le prime versioni di Pinocchio in vernacolo risalgono agli anni ’50, e se ne comprendono appieno le ragioni. È proprio in quegli anni che il dialetto, superato l’ostracismo del fascismo nei suoi confronti e grazie alla diffusione dei nuovi mezzi di comunicazione di massa, in primo luogo la radio e la televisione, comincia ad essere conosciuto nella diversità delle sue articolazioni e valorizzato nella sua dignità linguistico-espressiva. In tale contesto compaiono diverse versioni locali del testo collodiano, tra cui quella, la prima in vernacolo calabrese, del poeta Gino Gentile di Savelli, risalente al 1992.

Antonio Gerundino di Amendolara, uno degli studiosi più interessanti dell’Alto Jonio cosentino, ricercatore serio e versatile e con una ricca produzione letteraria e storica all’attivo, si cimenta nel lavoro che qui si presenta con una traduzione di Pinocchio nel dialetto del suo paese, che prelude ad un’altra impresa, altrettanto e forse ancor più impegnativa, quella di rendere in amendolarese l’opera principale del sommo Poeta. La versione vernacolare del testo collodiano è fatta con estro narrativo e poetico, per cui la lettura, se pur alla prima difficoltosa, risulta poi piacevole e gustosa, anche perché aiutata dal testo originale a fronte. Le cadenze dialettofone arricchiscono la narrazione che non perde mai il carattere tragicomico di fondo né snatura l’anima ribelle del burattino. Il testo, meritevole di attenzione per la sua valenza letteraria, culturale e sociale, si configura come un prezioso e innovativo strumento di conservazione del dialetto e di rivitalizzazione della lingua dei padri. La narrazione è ricca di una musicalità trascinante che coinvolge il lettore nella magia di una storia che mantiene intatta la bellezza del testo originario. Siamo certi che l’iniziativa intelligente di Antonio Gerundino incontrerà il favore, oltre che della comunità di Amendolara, anche dei giovani studenti delle scuole del territorio ai quali è prioritariamente rivolta.

 

UNICAL, Maggio 2013

Prof. Giuseppe Trebisacce

Ordinario di Storia della Pedagogia,

presso l’Università della Calabria,

e Presidente Nazionale del CIRSE

(Centro Italiano per la Ricerca Storica-Educativa)