Roggiano Gravina-24/04/2015:Giulia Aloia e Angelo Minerva – “DOPPIO IN–CANTO” (di Gennaro Cosentino)

LOCANDINA PRESENTAZIONE DOPPIO IN-CANTO

Giulia Aloia e Angelo Minerva – “DOPPIO IN–CANTO”  

Tabula Fati – Chieti 2014

Incontro tenutosi a Roggiano Gravina il 24/04/2015 presso la Parrocchia “Regina Paradisi”, promosso dalla Associazione “FIDES ET RATIO”.

 

di Gennaro Cosentino

 

 

“Doppio In–Canto” è una raccolta poetica a due voci di Giulia e Angelo, che all’unisono si protendono a scrutare la condizione esistenziale dell’uomo con il suo eterno interrogarsi su ciò che alberga e si agita nel profondo del suo animo, su ciò che lo circonda e lo sostiene, su ciò che egli, con la sua intelligenza e operosità, crea e distrugge. È un percorso lirico della mente e del cuore che abbraccia la complessità della vita nel suo perenne “gioco” di aspirazioni, inganni, illusioni, delusioni, dolori, gioia, incomprensioni.

Sogni e realtà si sovrappongono, ragione e sentimento si intersecano nel tentativo di stabilire un equilibrio tra interno ed esterno: c’è l’uomo con il suo travaglio interiore, con il suo orgoglio e le sue contraddizioni, fragile verso le proprie sofferenze, indifferente ed egoista verso gli altri e l’ambiente, aperto ad uno squarcio di luce e di speranza nelle calamità e nel pericolo. Problematica esistenziale che si svolge sull’analisi degli opposti: l’arcobaleno che segna l’alba e il tramonto dell’uomo, rivisitati nell’intimo dell’animo in rapporto con gli altri e la natura che, deturpata, languente, a volte minacciosa, invita a voler ricucire le ferite, in modo tale che la linfa possa riprendere a scorrere e dare il proprio frutto: speranza, però, che sembra dileguarsi “nello spazio angusto dell’individualità” (XIV).

Una visione pessimistica invade tutta la raccolta, pur facendo capolino qualche spiraglio di luce nell’accorato appello: “Rifletti, uomo, sul tuo braccio armato, / sull’albero che nasce e cresce in un dirupo” e che possa “tramutare in pace ciò che è guerra” (XVII).

Si tenta di far sognare ricordando e proponendo; si consiglia di allontanare il tramonto accarezzando l’alba con le memorie dei nostri padri. Su questo scenario il tempo scorre soffocando “canti e sogni”, lasciando “giochi di esistenze / logorate da esperienze non vissute, / di desideri sconfinati / traditi, di territori inesplorati, / divise tra realtà interiori / oggettive, condivise nel mondo, / e dimensioni soggettive / taciute” (V).

I temi sono variegati, perché c’è l’uomo come protagonista, l’uomo contemporaneo, “modernizzato” nei sentimenti, nel suo modo di pensare e di agire. Ed ecco l’amore in tutte le sue forme: forza che trascina in passione, odio e violenza, chiave di risveglio vitale, danza che pullula di energie e scintille, pausate da ricordi che rammentano profumi, “odorose erbe”. C’è un succedersi di ansie, di unione, di passione; amore denso, tradito, dimenticato, deviato, vuoto, distante, ma con la speranza che, come in natura, “anche un crudo inverno / porta sempre a primavera” (LXIII).

Si invita a riflettere sul ruolo della parola, che abbassa e innalza: “È la bocca l’arma più crudele da disattivare; / sparge veleno, corrode rocce e abbatte mura / […]  distorce verità, crea nuovi fantasmi, / si attorciglia, […] / come edera venefica / alle trasparenti pareti dell’anima” (XVIII); di fronte a questo spettro c’è l’invito a cancellare “superbia, istinto, presunzione”, a “re-imparare” “riparo, aiuto, comprensione” (XIX) e a percorrere la strada dell’amore, raffigurato e assimilato ai chicchi della melagrana: “tanti rossi piccoli cuori serrati l’uno all’altro / a darsi calore e a scambiarsi il dolce liquore” (XX), il cui “unico frutto è la mela” (XXIII): ondulazioni di immagini stupende, ascendenti e discendenti, che coronano e sigillano l’unione della coppia.

L’amore aleggia tipico nella sensibilità dell’uomo (Angelo) e della donna (Giulia) con le sue varie sfumature di purezza, sentimenti, impurità, passione, sensualità, scandite secondo le tappe della vita: veleggia sull’oceano nella giovinezza; galleggia su un lago nella vecchiaia, “placidamente in attesa del sonno / nel tramonto…” (XXIV); a volte, però, si tinge di enigmi e di striscioni d’ombre: i sussulti d’animo si dileguano, i profumi perdono la loro fragranza, i palpiti chiudono i loro battenti: “non si udranno più colombi tubare, / ma solo corvi pigolare” (LXXI).

C’è l’attenzione verso il mondo naturale ed animale, che invoca rispetto e invita l’uomo ad essere più umano e comprensivo: “chi chiede aiuto non avrà che gelo” (LXXII); la felicità come vana promessa, “larva creata ad arte per rendere tollerabile / il faticoso vivere!” (LXXVI).

Su questo scenario si inserisce la sensibilità del poeta, che scruta, canta e incanta rivestendo di magia la realtà; con i suoi versi si protende a addomesticare il dolore, a generare pietà e pentimento, a promuovere “occasione di catarsi e di sgomento…” (XLII) e, quale “prigioniero del proprio pianto”, vola nel sogno delle variegate “ali” dell’esistenza, inebriato, “pur sempre” da “folle ebbrezza di infinito cielo!” (XLVIII). L’uomo rimane prigioniero di se stesso, “privo di buon senso […] / veste con ciarpame inutile il proprio corpo, / e la sua anima solitaria resta senza una carezza” (LII); l’uomo è smarrito, non è sorretto più dal credo dell’immortalità (LII), cammina su macerie che lui stesso ha provocato, ed ecco l’invito: “Torna, uomo, alla tua orgogliosa origine, / alla tua semplicità, alla tua storia, / rivoluziona quel luogo dove nascono i sogni / e pianta nuovi semi!” (LV).

Di fronte all’inquinamento dell’aria, delle acque; alla distruzione di boschi o di alberi anneriti dallo smog; al deturpamento della natura nei suoi vari aspetti e creature, si innalza un grido di protesta e di rabbia, affinché non ci siano “infausti giorni”, che spengono il sorriso e lasciano morire in un arido deserto.

Con l’inquinamento cessa la simbiosi tra uomo e natura; egli strappa i petali sussurrando l’anomalo rito d’amore (LXXXIV), ma non ascolta l’invito ad essere se stesso (LXXXIX). Analisi psicologica in cui convivono amore e odio, debolezza e superbia che si snodano in inquietudine.  C’è l’augurio che l’uomo–lupo (LXXXVII) possa lasciare la preda e abbracciare l’amore. L’uomo ha perduto la sua identità, si culla nella sua solitudine e non si sa dare una risposta, nel silenzio dovrebbe capire “che la vera felicità è tutta nella pace” (LXXXVIII). A lui si chiede: “Perché ti ostini a non essere chi sei? (LXXXIX). Il cammino del futuro è dato dall’interrogativo: “E poi?” (XCII). Pinocchio “da burattino è diventato bambino”: che l’uomo moderno possa diventare uomo! Condizione esistenziale chiusa, incomunicabilità tra l’io e il tu e diventa più drammatica tra l’io e l’io quando la soluzione svanisce vacillando in un tramonto che non conosce il sorgere dell’alba, sfumata nel rimpianto e nella sbiadita immagine del ricordo, che si increspa al vento tra reale e irreale, visibile e invisibile, tra sé e il mondo: abulia, torpore, spento è il canto e il sentimento; per cui l’invito a desiderare l’alba, anche se l’arcobaleno dell’animo è incagliato nella melma (XV) e non c’è più equilibrio.

Su questo panorama si innalza la voce del poeta che sibila come il vento, ma si perde nel vuoto dell’animo individuale e sociale senza promuovere uno spazio di riflessione: i sogni non catalogano alcuna prospettiva e “affondano come nave in mare” (LI), “tutti i figli del mondo sono esseri infelici: / sfruttati e sfruttatori” (LI). L’uomo, indifferente, legato al denaro, all’oro, non ha più sentimento, non rivolge più lo sguardo alla luna, rimane solitario, non suggerisce una carezza: si estasia “davanti a schermi grigi e freddi” (LII).

I versi finali richiamano l’uomo alla sua responsabilità, alla fratellanza, ad instaurare con la natura rapporti di amicizia e di riconoscenza, affinché non si perda l’identità di entrambi, e che la natura possa continuare a nutrire l’uomo, a soddisfare le sue esigenze, ad inebriarlo col suo fascino e bellezza, ordine e armonia, colori e profumi. Ragione e sentimento si intersecano nei richiami delle varie tematiche proiettandole in un’ottica di interfacce variegate, in cui si evidenzia maggiormente la negatività dell’uomo che, pur consapevole della sua condizione esistenziale, non riesce ad uscire da questo tunnel e aprirsi un nuovo varco propriamente consono alla sua vita.