Acri-12/01/2017:“SUL FIL D’UN SOFFIO ETESIO…” CON PASQUALE ALLEGRO ALLA SCOPERTA DELLE SUE “COLLEZIONI DI CIELO” (di Angelo Minerva)

“SUL FIL D’UN SOFFIO ETESIO…” CON PASQUALE ALLEGRO

ALLA SCOPERTA DELLE SUE “COLLEZIONI DI CIELO”

 

di Angelo Minerva

 

La prosa, leggera e densa al tempo stesso, preziosa, frammentata eppure fluidissima, che caratterizza l’opera prima di Pasquale Allegro, mi porta a pensare all’aria di Nannetta “Sul fil d’un soffio etesio” del “Falstaff” di Verdi. Pacatezza e sospensione, uniformità della tensione narrativa, concentrazione ed essenzialità dei contenuti, trama minimalista, tessuto del racconto in perfetto equilibrio tra monologo interiore e flusso di coscienza, virtuosismo letterario tenuto a freno, tutt’al più appena accennato: sono queste le caratteristiche salienti di “Collezioni di cielo” (Gigliotti Editore), un commosso e commovente tributo ai sentimenti, uno sprazzo di luce teso a illuminare spazi reconditi della mente e del cuore di solito celati agli altri, perché facile indizio di fragilità e soprattutto spia di una disarmata sensibilità.

Si tratta di voci tutte interiori che parlano, sommesse e pudiche, alla coscienza di ogni essere umano costretto a interrogarsi sulla propria condizione, a prendere delle decisioni per il suo domani, per quello dei propri cari, a rapportarsi con la persona amata, a specchiarsi nei suoi occhi nella speranza di comprenderne l’essenza più vera e di alleviarne le sofferenze e i disagi. In un mondo spesso disumano e crudele, in cui i legami affettivi autentici sono tenuti in vita quasi esclusivamente da atti di dedizione, mutuo soccorso e sostegno, la pur lecita ricerca dell’affermazione professionale non può che generare sensi di colpa e persistenti stati di malinconia, e la lontananza forzata non può che essere vissuta come esilio, sradicamento e carcere: la direzione dell’itinerario è tanto scontata quanto amara e va dal Sud al Nord dell’Italia, dalla Calabria a Milano, per poi spostarsi ancora più lontano, sui martoriati scenari di guerra orientali, che marchiano a fuoco non solo le pagine del giovane reporter, ma anche e soprattutto quelle più eteree eppure indelebili dell’anima.

La catarsi, a questo punto urgente e necessaria, che sembra avvenire senza clamore col ritorno alla quiete familiare, non può che essere operata dalla scrittura di quelle e di altre ancor più pregresse esperienze, o meglio dalla luminosità della primavera meridionale, anch’essa suggestivamente impressa sui fogli, che sembra avere il potere magico di placare l’animo, e in ultima analisi dal cielo stesso che, dopo aver osservato ogni cosa, ogni accadimento, come un testimone muto e paziente, finalmente si rischiara. Una storia antica e moderna, quella narrata in questo libro, che rifugge, però, dal classico lieto fine, dal momento che la ritrovata serenità può poggiare esclusivamente sull’evanescenza del cielo che, se tutto contiene, tutto osserva, protegge e abbraccia, ha pure come peculiare caratteristica l’incorporeità, l’inconsistenza delle nuvole e la loro proverbiale mutevolezza. 

Di ciò vi è piena coscienza nel testo: per questo detto e non detto si fondono mirabilmente, la luce e l’ombra mostrano le loro ferite, squarci di cielo che rispecchiano i sussulti del cuore, e la stessa coscienza della precarietà del vivere diventa canto e, a tratti, quasi elegia.

La possibilità di fermare sulla carta ricordi, voci, sensazioni e sentimenti non ha nulla a che fare con l’ansia di eternare se stesso e la propria opera: diventa qui legame con l’esistenza, percezione preziosa del suo arcano fascino. Ed è anche voglia di guarire – se possibile – dalle proprie debolezze o, quanto meno, di esorcizzarle per un più quieto vivere. Ben lungi dal sentimentalismo o da cifre personalistiche e intimiste, la scrittura di Pasquale Allegro si fa riflessione profonda e stimolo di crescita, ansia di elevazione e di umano perfezionamento. Così, come per le fate della già citata aria verdiana, in “Collezioni di cielo” la magia sta tutta nelle parole, nella loro particolare collocazione e nel loro sapiente uso, nell’intento pienamente raggiunto di farle diventare espressione chiara e sonora dei sentimenti, anche di quelli più sfumati e inafferrabili.

Non a caso il piccolo giardino casalingo, descritto nel romanzo, si fa, nella proiezione letteraria, spazio privilegiato dei sentimenti e delle impressioni, metafora della vita e dei suoi valori che devono essere pazientemente coltivati e protetti in nome di un sentire più alto e umanamente nobile. Lo scopo dell’autore di far scoprire ai lettori riflessi preziosi e suggestivi del suo “cielo” interiore è raggiunto: un mondo prende magicamente corpo nelle pagine grazie allo straordinario potere conferito dall’arte alle parole. Ed è proprio questo il prodigio che Nannetta auspica con gli ispirati e bellissimi versi della sua aria: “Coi gigli e le viole / scriviam de’ nomi arcani, / dalle fatate mani / germoglino parole, / parole alluminate / di puro argento e d’or, / carmi e malie.”