Albidona-20/08/2017: IL GRANDE DISASTRO (di Giuseppe Rizzo)

CRONACHE ALBIDONENSI – IL GRANDE DISASTRO

-testo di Giuseppe Rizzo e foto di Pino Genise
Sabato19 agosto 2017. Gli struzzi, cioè quelli che dovrebbero avere il dovere di DIRE QUALCOSA , si stanno invece rivelando dei veri e propri depistatori. Altri, che stanno comodamente seduti davanti al computer, lanciano messaggi melensi e falso sentimentalismo: anche questo fa comodo agli STRUZZI e ai PIROMANI. 
Stamattina, nonostante il caldo soffocante di agosto, abbiamo fatto un lungo percorso che va da Marràco a Santappico, dal Tròdio al Pontano: C’E’ UN GRANDE DISASTRO NATURALE; basta dire che nell’ex masseria Dramisino c’era una piantata di ulivi di circa 5.000 piante: tutti abbrustoliti. Dal “Canale Tinto” alla “Defìsa” abbiamo fotografato la strage delle grandi querce: il fuoco è penetrato nelle cavità interne dell’albero e poi, il grande fragore della “quercia caduta”. Anche qui abbiamo incontrato alberi di fico e peri stracarichi di bella frutta, ma anneriti dalle vampe infernali. Il medico aveva piantato pure un corbezzolo davanti alla casetta, ora è pure bruciato. 
Nella vallata di Santòdaro, gli ulivi secolari di Angiolino Predicatore sono ormai scheletri spaventosi. Così, anche quelli di degli Ippolito Rizièro. Ai lati della pista Tròdio-Pontano ci sono belle terre pianeggianti, ma altri ulivi secolari sono stramazzati a terra, come giganti millenari. Bruciacchiati anche quelli dell’Olivarra. Nella collinetta di Santòdaro si è invece salvato il grande ulivo di San Michele ? Ma il santo protettore di questo paese, dove regnano ancora serpenti a sonagli, seminatori di veleno e di inimicizie, arruffoni che hanno sempre mangiato col pubblico denaro e individui che stanno sempre con la bocca chiusa, con le orecchie e col naso tappati, NON PUO’ TOCCARE IL CUORE E IL CERVELLO degli Appicciafuoco ? 
Non ha potuto trovare scampo la POIANA che abbiamo visto lungo la discesa del Pontano; offuscata e inghiottita dal grande fumo. Forse aveva nidificato nella Pineta della “Selva grande” e disperata, voleva scendere nella fiumara “Avena”. Chissà quanta selvaggina rara (volpi, istrici, ricci, colombi, tortore, civette e serpi) sono rimasti carbonizzati in quell’inferno che ha distrutto boschi, terre, uliveti e vigne, che si estendevano dal Càfaro a Marràco ! 
Abbiamo incontrato quasi tutti i contadini che hanno avuto danni incalcolabili e hanno rischiato pure la vita: il giovane Matteo ha bruciato i grossi pneumatici del suo trattore per difendere non solo la sua casa e il suo bestiame della “Vigna nova”, ma è accorso anche ad aiutare i suoi vicini. Giuseppe è amareggiato per la roba dei suoi figli Michele e Ferdinando; la giovane Domenica, che vive la tragedia del fuoco, dalla Svizzera, grida contro i piromani che hanno danneggiato suo padre. China e suo figlio Pinuccio, che abitano a “Timpone della guardia” l’hanno scampata per miracolo; hanno difeso casa e animali, ma gli ulivi di Nicola sono bruciati insieme a una grande quercia. Francesco e Camilla hanno salvato pure il bestiame ma una vigna e gli ulivi hanno subito gravi danni. Francesco sta piangendo le rovine di “Santobrancato”. Alla Serra, il piccolo podere di Alessio, ereditato dal nonno, era tenuto pulito ma è stato toccato pure dal fuoco degli stolti e dei nemici del paese. Le fiamme hanno circondato anche la terra e la casetta dei Mele, a Rosaneto, il bel luogo dei frassini. In contrada “Trava”, Caterina, che insieme agli uomini di disperava a difendere la sua vigna, è scivolata e si è procurata una piccola vampata di fuoco sul viso. Leonardo, disturbato alla contrada Destra, al Tròdio, a Santàppico, a “Jazzo Levante” e alla Pescara di Puzzoianni, ha lavorato pure la note per spegnere il fuoco divoratore. Ci sono ancora altri danneggiati, ma è doveroso citarli tutti. Se qualcuno è contro la diffusione delle foto, noi, invece le conserveremo come una triste e indimenticabile documentazione di questa ennesima tragedia del fuoco. Perché non si dovrebbero vedere gli orrori delle povere mucche di Tortora, e gli incendi di Ormarso, Papasidero, Catrovillari, Morano, Longobucco e dei boschi dell’Altopiano silano ? Non parleremo più dei PIROMANI; non li vogliamo morti, perché sono dei poveri disgraziati senza cuore. Ma se dietro di loro c’è qualche losco protettore, essi dovrebbero avere il coraggio e l’onestà di confessare questo immane disastro. Perché la gente che ha sempre lavorato la propria terra, deve piangere per questa unica risorse fatta con sangue e sudore ? Stamattina abbiamo visto, da vicino, i luoghi dove sono morti Ferdinando, Pasqualino, Gaetano, Salvatore e altri sfortunati lavoratori dei campi. Il povero “Chillìno”, mentre zappava il suo piccolo podere al Pontano, veniva sorpreso da terribili crisi epilettiche e sbatteva la testa contro il tronco degli alberi.

Giuseppe Rizzo