Amendolara-30/11/2017:LA RIVOLUZIONE SOVIETICA NEL GRANDE FUOCO DELLA  PRIMA GUERRA MONDIALE   (  di Salvatore La Moglie )       

Salvatore La Moglie

 Rubrica storico-letteraria a cura di Salvatore La Moglie 

LA RIVOLUZIONE SOVIETICA NEL GRANDE FUOCO DELLA  PRIMA GUERRA MONDIALE       

 Di Salvatore La Moglie         

Le conseguenze, le ripercussioni e gli effetti della Prima Guerra Mondiale sono stati, indubbiamente, tanti. A cento anni da quello storico e terribile evento proviamo a fare un elenco:

  • si ha il crollo di 4 imperi: ottomano, austro-ungarico, zarista e germanico;
  • dalla Conferenza di pace a Parigi del 1919 nascono molti stati nuovi al posto dei precedenti;
  • immense sono le distruzioni e i morti e i feriti a milioni;
  • il problema di convertire l’industria bellica, di guerra in industria civile;
  • il Patto di Londra (1915) non viene rispettato dalle grandi potenze europee e in Italia si parla di “vittoria mutilata”, per cui le piazze sono invase dai nazionalisti e dai dannunziani;
  • si completa il Risorgimento italiano (con Friuli e Trentino Alto Adige);
  • il Biennio Rosso (1919-20) in Italia e in Europa è fatto di scioperi e tentativi rivoluzionari all’insegna di “fare come Mosca” che spaventano la piccola, media e alta borghesia, tanto che il fascismo si fa strada sempre di più;
  • il 23 marzo 1919 nasce a Milano il Movimento dei Fasci di Combattimento. Il primo fascismo è finanziato dal capitalismo agrario. Nel ’19 nasce pure il Partito Popolare (la futura Democrazia Cristiana) di don Luigi Sturzo, mentre nel 1921 nasce il Partito Comunista d’Italia sezione della Terza Internazionale (nata nel 1919) fondato da Gramsci e altri al Congresso socialista di Livorno (scissione dal PSI); ancora nel 1921 il movimento dei Fasci di combattimento diventa PNF (Partito Nazionale Fascista);
  • grande è il problema dei reduci, dei  mutilati e traumatizzati dalla guerra che, al ritorno, si troveranno con un pugno di mosche dopo le promesse del governo di lavoro e terra. Ne approfitterà Mussolini (“i violenti, i violenti! Io  ho bisogno anche di quelli”) che li userà come manovalanza contro i socialisti e i sindacati; nel 1922 il fascismo si affermerà come dittatura approfittando del  malcontento generale e dell’incapacità delle opposizioni ad allearsi e a costituire una barriera antifascista;
  • la prima Guerra Mondiale favorisce anche il nazismo perché la Germania di Weimar è in crisi. La Francia pretende che la Germania venga umiliata con un forte pagamento di riparazioni di guerra (132 milioni di marchi) e altre umilianti imposizioni. Nel 1923 Hitler tenta un colpo di stato ma viene arrestato e, in carcere, elabora il suo progetto politico-ideologico, il Mein Kampf  (La mia battaglia). Negli anni ’20 la Germania è aiutata finanziariamente dal  “piano Daws” messo in atto dagli Stati Uniti, che cesseranno gli aiuti in seguito alla crisi del 1929 che favorirà ulteriormente Hitler nella sua scalata al potere e, quindi,  l’affermazione della dittatura nazista;
  • fine, di fatto, dell’eurocentrismo, cioè del ruolo dell’Europa Occidentale nella storia del mondo, della quale per secoli era stato il motore, la locomotiva, il protagonista principale. La fine totale avverrà con la Seconda Guerra Mondiale.

 

   Fatto questo elenco, c’è da sottolineare che, però, la conseguenza e l’effetto più immediato e sconvolgente della Grande Guerra è stata certamente la Rivoluzione russa e poi sovietica, dalla quale sarebbe nata poi l’URSS che, con Stalin, avrebbe visto l’affermazione dello stato totalitario. Di questo grandioso evento ricorre, quest’anno, l’anniversario e tanti sono i saggi e gli articoli che si leggono sulla stampa. L’evento, in verità, ha qualcosa di grandioso e I dieci giorni che sconvolsero il mondo, raccontati dallo scrittore e giornalista comunista americano Jhon Reed, il mondo lo hanno sconvolto davvero. Tutto è avvenuto tra il 24 e il 25 ottobre (6 e 7 novembre secondo il calendario non giuliano) del 1917 e poi è proseguito con tutto quel che è avvenuto di travolgente e di sconvolgente per opera di professionisti della rivoluzione come Lenin, ovvero Vladimir Ilic Uljanov, e Trotsky, ovvero Lev Bronstejn, l’organizzatore di quell’Armata Rossa che per 70 anni ha costituito il baluardo del comunismo mondiale contro l’esercito dei Marines americani.

   C’è un antefatto su cui occorre soffermarsi un po’ e cioè che Lenin, il fondatore del comunismo mondiale al potere, prima del 1917 si trova in esilio in Svizzera, per sfuggire alle galere dello zar. Ebbene, le potenze Centrali, Austria e Germania, contattano Lenin e gli offrono un lasciapassare per tornare in Russia, dove i ceti alti della “rivoluzione di febbraio” non sono capaci di dire basta alla guerra!: Lenin può prendere anche il potere, l’importante è che faccia cessare una guerra che per quelle potenze, ormai in declino, è diventata insostenibile. Così, il capo del socialismo bolscevico viene fatto salire sull’ormai celebre treno blindato e fatto giungere, praticamente in incognito, nella Grande Madre Russia. Qui la situazione è al collasso, il popolo è alla fame: mangia quel che può, anche l’erba e i topi pur di sopravvivere. Quando Lenin arriva si propone subito come il salvatore della patria e in un celebre discorso in mezzo alla folla promette pane, lavoro e terra per i più poveri. Ormai la gente segue lui e gli altri rivoluzionari e il potere dei soviet, cioè dei consigli di operai, contadini e soldati è ormai diffuso e strisciante in tutto il paese: bisogna solo attendere il momento giusto per fare l’assalto al cielo, ovvero al Palazzo d’Inverno, sede del governo e, quindi, del Potere per rovesciare la società capitalistica e instaurare quella socialista, più umana e più giusta. E il momento fatidico avviene proprio tra il 24 e il 25 di ottobre del 1917: i rivoluzionari riescono a rovesciare, senza tanto spargimento di sangue, il potere secolare degli zar: tutto viene buttato nella spazzatura della Storia, secondo l’espressione coniata da Trotsky. Lo zar e la sua famiglia vengono sterminati, inizia una nuova era, fra qualche anno nascerà l’URSS, l’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, destinata a spartirsi il mondo con gli Stati Uniti d’America dopo la Seconda Guerra Mondiale.

   La vita del primo stato socialista del mondo non ha, però, vita facile perché, infatti, contro di lui si formano subito le armate bianche filozariste, aiutate dalle grandi potenze occidentali che non sopportano la fine della civiltà capitalistica e del potere reazionario degli zar e che temono, soprattutto, che il virus della rivoluzione si diffonda e dilaghi nel mondo portando, un po’ ovunque, alla dittatura del proletariato che travolge il capitalismo e pone fine ai privilegi consolidati delle classi superiori. Eppure, nonostante tutto, l’Armata Rossa riesce a sconfiggere le armate bianche della reazione filoccidentale anche se a duro prezzo, perché se è vero che Lenin ha firmato la pace con le potenze Centrali e ha liberato il paese dall’incubo della guerra mondiale, la guerra interna con le armate bianche e la grave situazione economica in cui versa la Russia lo ha costretto a imporre il cosiddetto comunismo di guerra o di caserma, per cui i soldati requisiscono i beni prodotti nelle campagne e il sistema è, insomma, rigidamente comunista. Nel 1921 Lenin, da quel grande leader intelligente che è, capisce che il paese ha bisogno di uscire dalla morsa e vara la NEP, la nuova politica economica che consente un respiro a chi produce beni e la vendita al mercato dei prodotti agricoli. Lenin, però,  muore nel 1924 per un colpo apoplettico e, all’interno del PCUS, l’ex partito bolscevico ora Partito Comunista dell’Unione Sovietica, si scatena la guerra per la successione. I due grandi contendenti sono Trotsky e Josif Vissarionovic Dzugasvili, detto Stalin, l’uomo d’acciaio. Il primo propone al partito e al paese la teoria della rivoluzione permanente, in base alla quale occorre esportare subito la Rivoluzione e, quindi, il modello sovietico nel mondo, mentre il secondo propone la teoria del socialismo in un solo paese: secondo Stalin la Russia è ancora troppo debole ed economicamente povera per potersi permettere di esportare, qui e ora,  la Rivoluzione e, dunque, prima bisogna che il paese sia abbastanza forte e potente per poi poter esportare il modello sovietico. Tra la teoria idealistica di Trotsky e quella realistica di Stalin prevale quella del duro Stalin, e occorre ammettere che, dal punto di vista dell’interesse nazionale della Russia, ha ragione Stalin: una Russia ancora troppo debole non avrebbe potuto permettersi il lusso di giocare a fomentare la Rivoluzione negli altri paesi. E così inizia l’era dell’uomo che Lenin, nel suo testamento tenuto segreto per anni, ha definito rozzo e di cui diffidare. Ma il rozzo e duro Stalin, pur sempre fedele ai principi del marxismo-leninismo, inizia la sua lunga marcia politica a capo di un paese che vede arretrato e in ritardo di almeno 20-30 anni rispetto alle potenze capitalistiche occidentali: occorre – dice  – fare di tutto per colmare questo divario e fare dell’URSS una potenza degna di stare alla pari con quelle del mondo capitalistico, se non vuole esserne schiacciata. Siamo alla teoria dell’accerchiamento capitalistico che, in verità, non è infondata e i fatti, come afferma lui, sono testardi e gli danno ragione: la civiltà borghese-capitalistica occidentale, pur di contrastare l’avvento del socialismo e del modello sovietico, finisce per favorire regimi odiosi come il fascismo (in vari paesi europei) e il nazismo e di chiudere più di un occhio sull’esistenza dei lager dove si manderanno a morte crudele milioni di ebrei e non solo ebrei.

   Tornando a Stalin va detto che la sua teoria del socialismo in un solo paese viene messa in opera attraverso un decennio di ferro e di fuoco, durante il quale si dà preminenza all’industria pesante, cioè meccanica, siderurgica, ecc. a scapito di quella leggera e degli stessi consumi. Vengono varati, a partire dal 1928, i piani quinquennali, i pjatiletka, in base ai quali si programma l’andamento dell’economia per cinque anni e poi si traggono le conclusioni e le previsioni per i prossimi cinque. E bisogna dire che, pur con lacrime e sangue e anche attraverso la propaganda e la retorica di regime (si pensi allo stakanovismo), i piani quinquennali ottengono i loro risultati e, alla fine degli anni Trenta, l’URSS di Stalin è una grande potenza economica e militare di tutto rispetto. Stalin ha avuto ragione sull’idealista Trotsky e il grande padre della patria è riuscito a fare dell’arretrata Russia degli zar uno stato moderno e una potenza industriale militarmente forte, tanto forte da avere un  ruolo di primo piano nella sconfitta del nazi-fascismo durante la Seconda Guerra Mondiale e poi da spartirsi il mondo con gli Stati Uniti, con tutto quello che ne è conseguito fino alla caduta del Muro di Berlino.

   Se questi, però, sono gli aspetti positivi dello stalinismo al potere ben altri sono quelli negativi che rappresentano il tradimento dei valori e degli ideali della grande e ormai mitica Rivoluzione Sovietica, che tanti sogni e speranze ha suscitato per decenni nei popoli di tanti paesi del mondo, anche nel nostro prima dell’avvento del fascismo ma anche dopo la sua sconfitta. Il negativo dello stalinismo consiste nell’aver costruito un potere di tipo burocratico, in cui a contare non sono certo il popolo e il proletariato ma un apparato burocratico e di partito che, alla fin fine, ha costituito la morte simbolica dell’ideale rivoluzionario. Inoltre, Stalin, nella sua lotta per il potere e poi per la sua continuazione, si fa strada attraverso il più crudele machiavellismo, eliminando di volta in volta gli avversari politici all’interno del partito comunista e, negli anni Trenta, realizzando un periodo di Terrore e di purghe (le famose purghe staliniane), inscenando processi nei quali il presunto colpevole confessa anche l’inconfessabile dinanzi a un giudice che è agli ordini del dittatore. Delitti e orrori che saranno rivelati nel 1956, al XX Congresso del PCUS, nel famoso “Rapporto Kruscev” che dà inizio al processo di destalinizzazione e alla rivalutazione della figura di Lenin e del leninismo. Il comunismo, però, mostra già in quell’anno che non è riformabile e che il modello sovietico, anche con Kruscev, non può essere di un socialismo dal volto umano e di un socialismo nella libertà: la rivolta polacca prima e la rivoluzione ungherese poi, saranno l’emblema vivente di tutta questa impossibilità e, così, in quello stesso finire del ’56, il sogno di un socialismo non stalinista sarà travolto dai carri armati sovietici e di quelli dei paesi del Patto di Varsavia. E nel 1968 la scena si ripeterà a Praga. La fredda  logica di Jalta, della guerra fredda e dei Blocchi contrapposti prevale sul sogno di un modello di socialismo dei popoli e non delle burocrazie di partito che ne sono la negazione.

   Si potrebbe continuare ancora e per molto, perchè il discorso sul mito dell’URSS e della Rivoluzione d’ottobre tanto peso hanno avuto nella storia del ‘900, perché tante sono state le speranze e i sogni che essi hanno suscitato in tanta parte del mondo e in milioni di uomini. Alla domanda più volte posta e cioè come sarebbe stata l’URSS sotto la guida di Lenin, credo che si possa rispondere senza molti dubbi: certamente migliore e più umana, senza le purghe e i processi-farsa e più aperta verso i bisogni e le esigenze di libertà delle masse popolari. E questo perché Lenin non è semplicemente un capo rivoluzionario col sogno della rivoluzione proletaria diretta alla liberazione dalle catene della schiavitù capitalistica ma perché è un filosofo, un pensatore che interpreta il comunismo teorizzato da Marx e da Engels come un nuovo umanesimo che ha il compito di creare un uomo nuovo e una nuova umanità con l’inizio vero della Storia: si pone fine alla preistoria in cui tuttora l’uomo si trova per condurlo finalmente all’inizio della Storia in cui l’uomo è il vero protagonista, il vero artefice del proprio destino e geloso custode della propria umanità, che nessuno ha diritto di ridurre al mondo delle cose e delle merci.