Albidona-07/09/2018: Lettera a Ciccio Frangone:  Il tuo aquilone che vola da Roma ad Albidona (di Giuseppe Rizzo)

 
 

NOTIZIARIO L’ALTRA CULTURA

Lettera a Ciccio Frangone: 
Il tuo aquilone che vola da Roma ad Albidona

Caro Ciccio: mi avevi detto che il tuo dodicesimo libro era in vendita presso la cartoleria del tabaccaio, ma non l’ho trovato. Me l’ha fatto leggere un comune amico che ama i libri, la cultura e il suo paese, che è pure il mio. Non mi emoziono facilmente, ma leggendo queste tue 86 pagine, mi rendo conto che questo paesino è stato ed’è ancora il tuo. Per questo, l’hai intitolato: “La mia Albidona-un miricordo”(Tipografia Jonica di Trebisacce). 
Non so perché, io ho sempre avuto uno strano rapporto di amore-odio, col mio paese. Ma spesse volte lo percorro anche di notte. Sento un forte rimpianto che in ogni vicolo ci sono dieci porte, ma sette sono chiuse per sempre. Alessandria del Carretto rischia di restare senza scuola; ne ha scritto anche Antonello Caporale sul “Fatto quotidiano”.
Fai capire che all’inizio della tua permanenza in Albidona soffrivi un po’ la solitudine; leggevi i canti di Giacomo Leopardi, buoni romanzi e anche libri di psicoanalisi. Sognavi la tua fidanzata lontana, ma intanto, e sempre elegante, sbirciavi le belle ragazze di Albidona. E’ vero che le signorine erano tenute quasi segregate in casa, forse per gelosia e per distacco dagli altri. Quante intime sofferenze conosciamo tra le nostre anguste mura di Albidona ! I tempi stavano cambiando, ma si parlava ancora della massa del “popolo vàscio” e di pochi “pinnarùli”. Poi, anche i “vàsci”, dimenticando le proprie umili e oneste radici, si credevano “pinnarùli”. 
Comunque, il tuo volo dell’aquilone che fai con l’inseparabile amico Roccuccio Tornelli, da Roma ad Albidona, è un grande atto d’amore; ti dico, sinceramente, che fai troppo il poeta romantico. Solo i viaggiatori stranieri che venivano in Calabria facevano delle considerazioni (non sempre obiettive) della nostra terra e della nostra gente. Parlavano spesso di briganti; oggi, si parla di mafia. Ma il vescovo Savino dice che la Calabria è una terra bellissima. 
Ciccio Frangone non parla da “straniero”. Quei personaggi locali che ricorda nel libro sono citati anche nei miei diari manoscritti: il napoletano don Roberto, i procacci postali Michele Oriolo e Antonio “Baffo”, il portalettere Aurelio, il vigile e cacciatore Giuseppe Urbano, l’improfumato Ciccio Ferraro, la signora Antonia dove abitavi di casa, il marito Domenico Violante. “contadino dal cervello fino”, quel zio Leonardo che ti regalò la grossa chiave di un palazzo nobiliare, il negoziante Vincenzo Lizzano, del rione San Pietro, il sindaco Dramisino che tornava a cavallo dalla sua masseria, i medici Mele e Urbano, l’autista Rocco “Mangiarile”, il barbiere Antonio, il negozio di Rocco Bloisi, i politici Mundo e Viceconte e il più popolare Michele Lofrano. 
Noi giovani studenti ci eravamo aggregati al Circolo culturale “Michele Prinsi”. Facevamo buoni spettacoli teatrali. Cercavamo libri: Michele Viceconte leggeva Curzio Malaparte, Pasqualino Paladino era abbonato al settimanale “Panorama”, Rocco Tornelli conosceva Vittorini e altri contemporanei. Io ero seminarista e cercavo anche gli scrittori stranieri. Una mattina mi chiamò il parroco Di Vasto, perché qualche anonimo che frequentava la chiesa gli aveva riferito delle mie letture estive. Quando rientrai in seminario mi chiamò mons. Raffaele Barbieri e mi mostrò un biglietto, con questa scritta: “Il seminarista nipote di don Giulio legge romanzi d’amore e si vede con una ragazza”. L’anonimo biglietto era di Albidona.
Mi piaceva lo scrittore statunitense John Steinbeck (La Valle dell’Eden, Furore, Pian della Tortilla): c’era pure qualche descrizione d’amore, ma Steinbeck parlava anche di contadini che sudavano sulla terra. Mons. Barbieri mi voleva bene; guarda caso, dopo tanti anni, mia figlia si laureò a Firenze, con una tesi su “Il vescovo Barbieri, tra guerra,dopoguerra e Concilio Vaticano Secondo”. Purtroppo, le lettere anonime e calunniose circolano pure oggi.

Tu, caro Frangone, tesserato alla locale Democrazia cristiana, assistevi a quelle furenti lotte politiche tra “Guelfi e Ghibellini”. Le abbiamo vissute e sofferte, anche noi ragazzi degli anni Sessanta. Quelle fazioni hanno creato inimicizie le cui ferite non sono ancora cicatrizzate. E i piccoli paesi rischiano di morire, anche perché non sappiamo aggregarci. Quindi, non è tutta “romanticismo”, Albidona.

Nel tuo “miricordo” leggo anche un’ interessante analisi sociale, economico e culturale del paese. Qualcuno ti diceva che gli “albidonesi, nella maggior parte, sono ignoranti”. Onestamente, tu ci tieni a rettificare, con la tua constatazione sul campo e durante i tuoi quattro anni di lavoro alle Poste. Non c’è bisogno della psicanalisi: la nostra gente viveva nelle “ristrettezze economiche; in un mondo del dolore; col viso marcato dagli sforzi nei campi”. E anche l’emigrazione, che nel Milanese ha provocato una diecina di morti.
Tra quei bambini che dalle sperdute campagne si recavano a scuola, c’ero pure io. Sì; c’erano i “bambini nculu nudu, con l’apertura davanti dei pantaloni”. Il tuo quadro è realistico: “Il volto della nostra gente è marcato dagli sforzi nei campi e dal colore nerastro per i cocenti raggi del sole. Gente di fatica e di notti insonni. Sofferenza antica. I contadini provati dalla sofferenza. Gli Albidonesi, gente umile e dignitosa. Gente dalle mani callose, per fatiche e sacrifici. Ma gente robusta nel fisico e nella mente”. Ecco perché, Albidona, per te, è stata anche “un libro di pedagogia”.

Hai avuto anche modo di osservare le nostre tradizioni e le usanze popolari più sane. Innanzitutto l’ospitalità per chi veniva da fuori, come te. E poi, il costume albidonese, il caminetto e la pignatta, le feste di San Michele, Sant’Antonio (col il palo liscio); la festa del maiale, il bagno nella tinozza. Non si conosceva la doccia. E anche la religiosità popolare.
Questa era effettivamente, la situazione del paese: la strada Trebisacce-Albidona sempre piena di buche e dissestata. Ma dopo cinquant’anni, hai trovato un’Albidona “cambiata”, anche la “strada circolare” e con due campi sportivi. 
Infine, un tuo risentito “rammarico” e “delusione” per i tuoi trebisaccesi. “non si radicano al proprio ambiente “. 
Ti ringrazio che citi pure un mio modesto passo su Albidona. E mi emoziono, al tuo finale, quando scrivi: “Nella visita ad Albidona ha rivissuto e respirato, anche se per poco, la freschezza di quell’aria pura, generata da quei monti e quelle valli che la caratterizzano e l’adornano”.
(con affetto, Giuseppe Rizzo – 5 settembre 2018)