Trebisacce-18/10/2020: Rubrica letteraria a cura di Salvatore La Moglie/I poeti non scrivono sulla sabbia, edita da Edizioni Setteponti di Arezzo.

 

Salvatore La Moglie

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Rubrica letteraria a cura di Salvatore La Moglie

È uscita la nuova silloge poetica di Salvatore La Moglie I poeti non scrivono sulla sabbia, edita da Edizioni Setteponti di Arezzo. Su gentile concessione dell’autore, proponiamo ai lettori de La Palestra l’Introduzione dello stesso autore, la Prefazione della poetessa Lia Bronzi  e la Postfazione dell’editore Enrico Taddei. Si tratta di una raccolta che racchiude le più belle e significative poesie del nostro autore, destinate certamente ad avere successo come le precedenti e, soprattutto, a durare nel tempo.  Dopo questi testi, seguirà la lirica che dà il titolo alla silloge. Buona lettura.

La Redazione de La Palestra

 Introduzione di  Salvatore La Moglie

La presente raccolta riunisce in un volume le nuove e buona parte delle vecchie poesie delle due precedenti sillogi edite tra il 2017 e il 2018 e cioè La parola che resiste e Il poeta è un minatore, che tanto successo di pubblico e di critica hanno ottenuto e che in più di un concorso letterario sono riusciti a conquistare le migliori posizioni nelle classifiche. Persino molte delle singole poesie sono state più volte premiate proprio come la poesia che dà il titolo alla raccolta che, a Piaggine (Salerno), si è classificata al secondo posto nella sezione La Pittura incontra la Poesia. Ed è sempre un felice incontro quello tra queste due sublimi arti.

Parecchie delle poesie qui raccolte sono dei piccoli manifesti, delle dichiarazioni di poetica e di riflessione sul mestiere del poeta, sulla funzione e sulla concezione della poesia e dello stesso poeta che, come diceva il grande Giorgio Caproni, è un particolare minatore che scava, scava e s’inabissa nelle profondità dell’anima e della vita per poi riportare alla superficie delle perle preziose con cui narra l’uomo e il mondo. E se il poeta è un minatore la sua arte sublime consiste, come ci ha insegnato un altro grande, Italo Calvino, nel far entrare il mare in un bicchiere, ovvero nella capacità di dire e di spiegare un universo, di rendere persino una visione della vita e del mondo anche in soli due o tre versi. E in questo, lo sappiamo, ci sono riusciti e ci riescono soltanto poeti sommi e grandi come Dante, Petrarca, Leopardi, Quasimodo, Ungaretti e Montale, tanto per fare dei nomi canonici.

In questa raccolta i temi e i motivi sono tanti e riguardano il mondo, la realtà e la nostra esistenza nei suoi molteplici aspetti: il tempo che scorre inesorabile e che impietoso si abbatte su di noi; il male, il dolore, la morte, l’angoscia esistenziale, il vuoto che spesso ci assale, il non-senso e l’assurdità della realtà, la pesantezza della vita e l’ardua impresa di vivere. E ancora: l’inutile sacrificio di Cristo, il silenzio di Dio, l’eternità, il destino e i nostri errori; il viaggio come viaggio esistenziale; la solitudine, l’amarezza, la malinconia e la tristezza che spesso su di noi aleggiano e vorrebbero imporsi rendendoci più pesante il fardello di una vita in cui la felicità non esiste, ecc.  Si possono leggere testi che parlano del tema eterno della guerra, della povera gente che è costretta a migrare, della paura, dei tempi da lupi che viviamo (mai come ora!); del pianeta terra (da salvare…) non più paradiso terrestre ma luogo dove vivere è ormai diventato complesso e complicato e in cui la propagazione di un virus (il Coronavirus che tanto ha fatto parlare di sé nell’indimenticabile 2020) può costituire un’incredibile minaccia e un enorme pericolo per la vita degli uomini e per l’intera umanità; e c’è il tema della modernità e dell’entropia che sembra pervadere e regnare sovrana su questo assurdo e irreale mondo (tutto da rifare!), che appare sempre più alla rovescia e sempre più disumanizzato e alienante, dominato com’è dalla logica del consumismo, del profitto, del denaro e sempre più dalla rete e dai social network per cui, il nostro pensiero si rivela spesso in crisi, disobbediente, solitario e disperatamente ribelle alle incongruenze, alle contraddizioni e al negativo di una vita e di una realtà che ci condizionano sempre più e in cui ci sentiamo oppressi e impotenti, perché i veri valori e ideali appaiono come cancellati per sempre, mentre a prevalere sono quelli – direbbe Padre Dante – falsi e bugiardi. Non mancano poesie-omaggio a giganti della letteratura come Luigi Pirandello, Pier Paolo Pasolini, Salvatore Quasimodo, Cesare Pavese e al sommo e divino Dante, padre di tutti gli altri poeti-minatori; c’è anche un omaggio ad Aldo Moro, barbaramente assassinato dalle Brigate Rosse nel 1978; e ci sono anche poesie dedicate all’importanza e alla bellezza del libro e della lettura, al mito di Ulisse che simboleggia la hybris, ovvero il senso di sfida e lo spirito prometeico dell’Occidente e, infine, alla tragedia dell’Olocausto, per cui siamo chiamati a non dimenticare perché la Storia – come recita una delle poesie che si leggono alla fine della raccolta – è una grande maestra che ci insegna, appunto, a ricordare, a non dimenticare, perché dimenticare può risultare molto pericoloso, quasi un reato, una colpa perché, come diceva George Santayana, quelli che non sanno ricordare il passato sono condannati a ripeterlo.

Tutto questo nell’apparente contraddittoria consapevolezza-convinzione che la vita è pur sempre bella e va vissuta nonostante le tante difficoltà e che, in un mondo così impoetico e sempre più globalizzato e internettizzato, la poesia – forse il meno consumato dei prodotti della società di massa – deve continuare ad essere un’arma di resistenza contro ogni forma di Potere, contro il Male e il negativo del mondo, una modalità particolare di contestazione e di opposizione e, pertanto, quel minatore sui generis che è il poeta sa di non scrivere sulla sabbia  perché, come diceva Foscolo, la poesia è eternatrice, vince di mille secoli il silenzio e che, dunque, il giorno più/perduto e vano/ è quello in cui/ la mano non ha/ steso neppure un/ verso da consegnare/ all’universo. Salvatore La Moglie

 

Prefazione di Lia Bronzi

Scrive il poeta Salvatore La Moglie, narratore e noto saggista, da noi più volte letto e apprezzato nei Concorsi Letterari, un proprio exergo, che testualmente recita: «Questa raccolta è dedicata/ ai poeti e alla poesia, la sola/ capace di resistere e di restare», situato a piè di pagina, prima che le liriche fluiscano, nella preziosa raccolta intitolata analogicamente al titolo stesso della raccolta “Il poeta non scrive sulla sabbia”, che di per sé, son già una dichiarazione di poetica, universale e quindi eterna. Ed anche, a proposito del sopra citato exergo, ed anche quando il poeta si lascia morire, la poesia ne fissa l’universalità del dolore e l’eternità del pensiero, poiché, come a tutte le persone sensibili, essa tocca le corde del sentire universale. Ma nel caso di Salvatore La Moglie, il dolore sembra essere inalienabile, poiché è talmente profondo in quanto stimolato da eventi e comportamenti umani, anche violenti ed inaccettabili, ne fa testo la poesia dal titolo “Tempi da lupi” che, con parole di grande sintesi, recita: «Tempi da lupi/ son quelli che/ viviamo./ Mai come ora, ora/ che il mondo han/ globalizzato./ E ti domandi/ cosa sia meglio,/ se nascere lupo/ o agnello», nella quale il poeta esprime i suoi dubbi sulla globalizzazione, chiedendosi se è meglio essere lupi o agnelli, vale a dire, violenti o pacifici. Se ne evince una lezione di vita, con valore ecologico, morale e civile, espresso con incisività di versi semplici.

Il dolore è presente anche nella lirica “Scende greve la pioggia dal cielo” dove il poeta canta: «Scende greve la pioggia/ dal cielo come i miei/ pensieri quando scende/ la sera./ Forse anche lui come me/ è stanco o qualcosa gli/ manca./ E non resta che il pianto», nella quale l’analogia con le lacrime dei suoi occhi, delicata ed elegante, vuole esprimere quanto grande sia il sentire umano, quando sappia avvicinarsi al sentire cosmico. L’autore riesce a fornire in un excursus graduale di poesia, che si fa portatrice di verità per temi, per profondità e contenuti, colti tra solitudine e speranza, e cioè nell’essenzialità dell’esistenza, così come si avverte in questo difficile tempo, in cui ci è dato di vivere.

Nel fluire affascinante delle liriche, ne troviamo tre che prendono in considerazione il dolore pandemico del Covid 19, rispettivamente intitolate ”Il virus delle incertezze”, che nell’incipit recita «Il virus delle incertezze/ nella nostra mente è/ penetrato, il suo nero/ stendardo ha ben piantato/ e il nostro cuore/ intermittente/ più forte lo sente…», “Il Virus la Scienza e gli Stati” ed infine “Il virus della lenta morte”, che nell’incipit così si esprime: «Attraverso il filo spinato/dei pensieri,/ oltrepasso il cerchio di/ morte che il virus incoronato/ sulla testa mi ha piantato,/ e cerco una via d’uscita/ dal tunnel nero che mi/ opprime…», dalle quali possiamo notare una bellezza del verso capace di travalicare anche l’insieme tragico, prodotto dalla morte per virus. Il poeta Salvatore La Moglie riesce a tenere alto, luzianamente, il valore della parola, anche quando gli argomenti siano profondamente e dolorosamente terrestri.

Ma quello che affascina maggiormente, nel fluire delle liriche, sono i versi dedicati ai grandi della letteratura moderna, poiché la scelta non cade a caso, in quanto tutti gli Autori, pur essendo lontani nel tempo tra di loro, sono legati dal fil rouge del dolore, del pensiero forte, del modo di procedere sapienziale ed altamente umano, a partire dal Padre Dante, laico e teologo al contempo, passando per Pier Paolo Pasolini, di cui ricordiamo l’indimenticabile poesia dedicata alla madre dal titolo “Supplica a mia madre”, per poi andare a Cesare Pavese, del quale ricordiamo le liriche: “Lavorare stanca” e “Verrà la morte ed avrà i tuoi occhi”, non dimenticando il siciliano Luigi Pirandello, del quale vale la pena trascrivere il suo assioma: “uno, nessuno e centomila”, per chiudere con l’omaggio a Salvatore Quasimodo, che ha lasciato traccia di sé nel mondo intero, con i suoi versi tra i quali ricordiamo quelli della poesie “Ed è subito sera”: «Ognuno sta solo sul cuor della terra/ trafitto da un raggio di sole/ ed è subito sera». Per passare quindi ad Aldo Moro ed Ulisse, due uomini perseguitati dal fato ingiustamente, ambedue Odissei, odiati da personaggi senza cuore. Le tematiche del poeta, ci trovano totalmente consenzienti, tanto da farci dire: «coniunctio animi, maxima est cognatio».

 

Postfazione di Enrico Taddei

Salvatore La Moglie, con la pubblicazione “I poeti non scrivono sulla sabbia”, ci testimonia il durare e il valore dell’invenzione poetica, malgrado e contro l’orrore della storia e la fatica della vita, negli anni che passano e che ci segnano sempre più a fondo. Con l’intento di fissare i testi a suo parere esemplari della sua produzione, tramite il piacere e il desiderio di oggettivare la sua poetica, Salvatore La Moglie in tutte le sue singole liriche, di strenua intensità e sinteticità, di sicura invenzione e riflessione, di compatta evidenza, architettonicamente disposte per tematiche in questa pubblicazione, fissa saldamente il discorso poetico come costruzione ed emozione, come esaltazione luminosa, in specie nei confronti della letteratura del passato, e lucida contestazione, soprattutto nei riguardi degli accadimenti della nostra società, quindi come dolore e malinconia. E, allora, il turbamento, la coscienza che si ha di colpo, come contraddizione della vita e come immediata esperienza del tempo che passa senza miglioramenti, negli ambiti del sociale e della civiltà stessa, hanno mirabile rivelazione della faccia oscura dell’esistenza, come testimoniano componimenti quali “Tutto è ormai liquido”, “La trappola della rete” e “La modernità”, quest’ultimo con versi che testualmente recitano: «Si vive ormai da tempo/ nell’entropia generale/ e si capisce sempre meno/ poco o niente./ Tutto è barocco e strano/ il caos e il disordine/ dominano sul reale e così/ il mondo appare sempre/ più surreale e sempre/ meno razionale…».

Ma pura e perfetta rimane sempre la forza della parola. Si evince ciò in liriche come “Amo la parola” e “L’eternità”, da quest’ultima riscontriamo versi che condividiamo in empatia, anche perché individuano la parte più intima del nostro stimato poeta, e che recitano: «…E così provi a scrivere/ più di un verso/ per non morire e/ per poterla almeno/ dentro di te sentire». Sulla stessa linea le liriche di apertura “I poeti non scrivono sulla sabbia” e “Il poeta è un minatore”, le quali sono veri e propri cavalli di battaglia della metapoesia italiana odierna, con messaggi dal valore universale e quindi validi per tutti e, in particolar modo, per tutti i veri poeti, sancendo così la forza della poesia come fatto immutabile, vero, sacro, nell’estrema sfida contro gli anni. In questo modo, la poesia di La Moglie si dimostra nella sua sicura verità: è la dimostrazione che quello che ha visto, sperimentato, contemplato e descritto, è fissato per sempre nella sua parola e, proprio per questo, il discorso è come al di là delle vicende del tempo.

Non ci dilungheremo qui ad analizzare altre liriche disposte per parti, in base alle tematiche trattate; del resto esse sono già state egregiamente messe in evidenza nella “Prefazione” alla raccolta poetica e chiudiamo col dire che “I poeti non scrivono sulla sabbia” è testimonianza di lezione di poesia e, al contempo, rivelazione del vero. Un libro da tenere nella propria libreria di casa, non soltanto perché è stato apprezzato dal lettore, ma poiché esso stesso è, pur partendo dal “sentire” di Salvatore La Moglie, un abbecedario della poesia contemporanea italiana, ove si riscontrano tematiche comuni a tutti, le quali sono affrontate e sintetizzate con carattere enciclopedico e che non possono essere contestate in quanto vere verità.

 I poeti non scrivono sulla sabbia

I poeti non scrivono sulla sabbia

ma cercano di dire e di lasciare

parole eterne e infinite che sono

come sulla pietra scolpite.

I poeti non vogliono vivere alla

giornata, volano alto e anelano 

a quei respiri che sulla terra

luogo e spazio non hanno e

li rendon più liberi e vivi.

Perché ai poeti che contestano

il reale con tutto quel che c’è

di assurdo e di banale, questo

mondo non può certo bastare.

E così con la mente sempre 

oltre il consentito vanno, la loro

meta non ha divieti di accesso

limiti e confini e il loro viaggio

è sempre un viaggio senza fine.