Villapiana-20/11/2020: Il Maestro gelatiere Gaetano Vincenzi esponente Conpait (Confederaziona Nazionale Pasticceri e Gelatieri Italiani), lancia un’allarme.

il Maestro Gelatiere Gaetano Vincenzi

Il Maestro gelatiere Gaetano Vincenzi esponente Conpait (Confederaziona Nazionale Pasticceri e Gelatieri Italiani), lancia un’allarme.

Non cediamo alle lusinghe dei falsi Dei! Il cibo a domicilio o Delivery non rappresenta il futuro delle nostre attività.

 

Questi sono giorni tremendi per il settore ristori, ci è capitato di vedere o leggere sui social il disperato appello delle nostre attività nel cercare di consegnare direttamente a casa vostra Pizze, gelati, dolci e prodotti di ogni genere, ebbene, questa è solo la volontà morale del settore di riemergere da questo incubo ma non dà ossigeno alle nostre casse, Il delivery non ha futuro.

Il delivery dà speranza, ma non rappresenta il futuro per le nostre attività: anti-economico, assai poco ecologico, privo delle caratteristiche principali, ovvero dell’ambiente e della socialità che lo caratterizzano, il cibo a domicilio non è la soluzione.

Una premessa: gli Imprenditori che in questi giorni terribili hanno attivato il servizio di delivery meritano la mia massima stima.

Certo in un momento tanto critico per la tenuta economica dei locali e anche mentale di imprenditori e lavoratori, le consegne sono un messaggio forte: si continua a vivere, a progettare, si esce di casa, si riannodano i fili con i clienti, si rimette qualche euro, simbolico ma importante, nel cassetto. In queste settimane drammatiche nessuno guarda alla redditività o all’efficienza, ma va bene così: c’è un disperato bisogno di speranza, e il delivery dà speranza. Anche a chi lo riceve. Dunque grazie colleghi per quello che fate, portate cose buone e un po’ di ottimismo nelle case.

Riconosciuto questo, però, bisogna far chiarezza: il delivery non è affatto il futuro del nostro settore, come pur tanti vanno sostenendo e per tre buon motivi.

Riconoscerlo è importante, ed è importante farlo adesso, in modo da dedicare a questa attività una quantità limitata di energie: quelle necessarie per garantire il servizio nei giorni dell’emergenza, senza sprecare investimenti e progettualità che si infrangerebbero tra pochi mesi.

Il delivery non rende

Il primo motivo per cui il delivery non è il futuro è di natura economica: non esiste un modello di business che garantisca alle nostre attività di fare consegne in maniera redditiva.

Prima dei lockdown i delivery che funzionavano erano sostanzialmente due: il negozietto di quartiere e la pizzeria, piccole attività locali con fattorini propri.

Il costo e le modalità della consegna sono fattori che in questi giorni spesso non sono affrontati con realismo, perché nella bella atmosfera solidale e tollerante del periodo d’emergenza i camerieri si sono volenterosamente improvvisati fattorini e i controllori, dal canto loro, hanno chiuso giustamente più di un occhio.

Ma per quanto si possano disapprovare le condizioni applicate ai rider dalle piattaforme di consegna, in questi giorni sul tema sicurezza non hanno certo dato il meglio di sé, è chiaro che lo spazio di miglioramento per la retribuzione e il trattamento dei vettori è poco: nel contesto odierno non è possibile retribuire e tutelare un corriere di un ristorante come un dipendente senza far ricadere pesantemente il costo sul cliente, ché di conseguenza si allontanerebbe.

Il delivery non sostituisce il calore delle nostre attività

Il secondo motivo per cui il delivery non è il futuro è di natura gastronomica. Che cos’è un’attività come le nostre? È quello che si mangia? Certo che no.

LA Nostra Azienda è la nostra espressione, un’esperienza fatta sì di sapori che va dall’accoglienza, dagli arredi alle vista del territorio e degli amici con cui si esce, Tutto questo non può essere contenuto in un box da asporto.

Così come non può esservi contenuta la complessità dei nostri prodotti.

Chi sta provando a recapitare a casa pacchetti e pacchettini da assemblare a casa, è da premiare, ma le nostra attività non sono nate per questo ed ammesso che un ristoratore vedesse nel delivery la via d’uscita dalla crisi sarebbe curioso: un ristoratore vuole fare il ristoratore, non il venditore porta a porta!

 

Il delivery non è ecologico

Il terzo motivo, ma non meno importante, per cui il delivery non è il futuro è di natura ecologica.

Chiunque in questi giorni abbia postato sui social un’immagine delle varie, deliziose confezioni di cui era composto un pasto gourmet a domicilio ha di certo ricevuto il commento “quanta plastica!” Delivery vuol dire: packaging.

Il packaging è il nemico pubblico numero due, dopo i trasporti, dell’ambiente. Certo, ci sono i packaging ecosostenibili, ma sapete quanto costano?

E poi c’è il nemico pubblico numero uno: i trasporti. In questi giorni di lockdown sembra tutto facile, si fa per dire, le strade sono semi vuote, gira solo chi è motivato dalla necessità. Ma appena si tornerà alla normalità, con la gente tutta fuori, il Delivery rimarrà un vago ricordo, e badate, non si pensi che ci sia simmetria tra i clienti che prima delle chiusure andavano al ristorante e le consegne a domicilio! Appena potremo riuscire, di tanto in tanto andremo a mangiare fuori come sempre, i ristoratori terranno in piedi le consegne per un po’, in attesa del ritorno a una (nuova) normalità, ed allora il delivery potrà essere utilizzato come strumento di fidelizzazione, di marketing, ma sarà irrilevante nei bilanci delle società (ammesso che lo sia mai stato).

Gaetano Vincenzi