Trebisacce-26/03/2025: Rubrica storico-letteraria a cura di Salvatore La Moglie

Salvatore La Moglie

Rubrica storico-letteraria a cura di Salvatore La Moglie

A partire da questo numero, “La Palestra” pubblicherà man mano il saggio di Salvatore La Moglie “Che cos’è la Divina Commedia” che è stato pubblicato dalla casa editrice  Setteponti di Arezzo nel 2022. Ringraziamo l’autore e l’editore Enrico Taddei per la gentile concessione.

 

Introduzione alla straordinaria personalità di un genio immenso ineguagliabile immortale e irripetibile. L’ultimo degli antichi e il primo dei moderni. La critica spietata e corrosiva della civiltà del denaro e del profitto, che aveva il suo principale centro in una Firenze  borghese e capitalista. Che cos’è la “Divina Commedia”.

 

“Beffarsi della filosofia è fare vera filosofia”, ha lasciato scritto Blaise Pascal nei suoi Pensieri e, volendo parafrasare questa sua “provocazione”, si potrebbe dire che Dante, “beffandosi” della letteratura, ha fatto vera letteratura. Egli ha fatto vera letteratura in quanto ha osato, in quanto ha avuto il coraggio di trasgredire, di sfidare le regole, gli schemi vigenti fino ai suoi tempi, sperimentando generi diversi e soprattutto sperimentando a livello linguistico e stilistico, fino a consegnarci un rivoluzionario capolavoro immortale in cui egli sa adeguare (come si vedrà meglio più avanti) il linguaggio, le parole, il “significante”, la “forma” al “contenuto”, al “significato”, alla situazione, alla materia, al personaggio, alla situazione che sta affrontando, che gli stanno sotto gli occhi. Coraggio di sperimentazione e di innovazione – proprio del genio – per cui se deve usare le parole plebee, scurrili, volgari e, insomma, quelle che si chiamano “parolacce”, lui lo fa senza pensarci su due volte (il monolinguista e monostilista Francesco Petrarca non l’avrebbe mai fatto, neanche sotto tortura), e questo perché era convinto (come lo saranno secoli dopo i Naturalisti francesi nell’800) che la letteratura non deve ritrarre soltanto il “bello” ma anche il “brutto”, non soltanto il “sublime” ma anche l’“infimo” e, dunque, raccontare realisticamente la vita così com’è, in tutte le sue sfaccettature e in tutti i suoi aspetti, anche quelli più turpi, laidi e disdicevoli, adeguando, opportunamente, il linguaggio e la forma al contenuto. Inoltre, con quel suo “farsi beffe” della letteratura ha creato un’opera unica, enciclopedica, multidisciplinare e quasi multimediale in cui sono come racchiusi un po’ tutti i generi, dalla poesia al romanzo e ai sottogeneri di romanzo fino alla fiaba e al teatro, riuscendo a creare una realtà e un mondo virtuali, che noi dobbiamo vivere come reali allo stesso modo in cui li ha vissuti lui. Sì, anche il teatro, perché, in verità, nella “Commedia”, sono tanti gli episodi e i colloqui che si prestano alla drammatizzazione, alla scena da teatro. Del resto, Luigi Pirandello – un altro genio della letteratura – non ha dimostrato che le sue narrazioni potevano anche essere teatralizzate, riscritte, appunto, per essere messe in scena sul teatro? Pertanto, ha avuto ragione lo scrittore e psichiatra Mario Tobino a dire, durante una trasmissione radiofonica di tantissimi anni fa (cito a mente) che: “Dante è buono come il porco. Potrebbe sembrare un’offesa ma non lo è. Infatti, del porco non si butta nulla e di Dante non si butta nulla, tanto è tutto buono”. Aveva perfettamente ragione: il Sommo Poeta è così buono che di quello che ha scritto non si riesce a buttare nulla. Dopo sette secoli dalla morte, Dante è ancora questo e lo sarà per sempre. Egli ci parla ancora, è un “eterno classico contemporaneo” (così mi piace definirlo) che ha sempre da  dirci e da darci. Sette secoli e non sentirli!: questo è Dante e questo è quello che ancora sarà nei prossimi secoli.

Tante, nel 2021, sono state le iniziative per i Settecento Anni dalla morte del divino Poeta e una delle ultime è stata quella voluta e promossa dalla “Società Dante Alighieri, da Scripta Maneant Editore, Human Space Services e Nanoracks Space Outpost Europe”: il 3 novembre del 2022, a Roma, presso la “Società Dante Alighieri”, è stato presentato il progetto “Divina Commedia” “DanteSat” al quale aveva lavorato il prof. Emilio Pasquini, uno dei maggiori dantisti scomparso nel 2020. Ebbene, il satellite (che, con registrazione scientifica, custodirà per sempre una copia dell’opera in supporto aureo come “eterna testimonianza dell’umano ingegno”) è stato lanciato nello spazio il 18 novembre, con all’interno l’ultima edizione della “Commedia” a opera della casa editrice “Scripta Maneant”. Merita citazione anche l’iniziativa-progetto del 2021, finanziata dalla Regione Emilia-Romagna, con coinvolgimento della Toscana, denominata “Il Treno di Dante”: un treno vero e proprio che transita tra Firenze e Ravenna su carrozze degli Anni Trenta del ‘900 e che porta i viaggiatori curiosi e appassionati di Dante alla scoperta di itinerari, luoghi e testimonianze storico-culturali della Toscana e dell’Emilia-Romagna: i viaggi vengono effettuati ogni finesettimana da aprile a maggio e da settembre a novembre per un percorso (culturale ma anche turistico…) di complessivi 136 chilometri.

Pier Paolo Pasolini ha parlato di “spaventosa unità del linguaggio di Dante” e ha detto che siamo di fronte a “un caso unico   in tutte le storie letterarie conosciute”  e, certamente, Dante è un “caso unico” sia per quello che ha scritto che per la sua stessa particolare vicenda esistenziale, senza la quale crediamo che non sarebbe stato tra i pochissimi poeti che abbiano saputo toccare, nello stesso tempo, le più alte corde dell’arte, dello stile e del cuore. Insomma, diciamolo una volta per tutte: l’Italia è l’unico paese al mondo che può vantare un autore unico, immenso, impareggiabile, ineguagliabile con cui altri grandi si sono misurati senza però riuscire a superarlo. Wolfgang Goethe – una delle ultime menti enciclopediche che hanno camminato su questa Terra – era affascinato da Dante e dalla complessità e immensità della “Commedia”, tanto che, a un certo punto, decise di venire in Italia (“Viaggio in Italia”) per imparare l’italiano e poter leggere e comprendere meglio il “Sacrato  Poema”, la Divina Opera del Divino Poeta. Eppure, se Dante è molto amato all’estero certamente non lo è in Italia, e questo va detto con molta amarezza. Gli alunni italiani, purtroppo, non amano Dante, non amano la “Divina Commedia”. Le ragioni  possono essere tante ma resta il fatto che il nostro più grande scrittore e padre della lingua italiana non è molto “conosciuto” dagli italiani e soprattutto dai più giovani. Il nostro, in genere, è un paese che non legge  molto e la maggiorparte dei giovani preferisce il più sofisticato cellulare e i “social network” piuttosto che leggere un buon libro e men che meno un canto della “Divina Commedia”… Non sanno cosa si perdono ma loro, il più delle volte, dicono all’insegnante che a loro, Dante (come gli altri autori della letteratura), non serve a nulla… come a nulla serve   la Storia… Ed è incredibile che queste nostre riflessioni siano praticamente le stesse di quelle che si possono leggere in una edizione della “Divina Commedia” del 1964 (Editoriale Lucchi, Milano, uscita quasi per  il settimo secolo della nascita del Poeta), laddove è scritto che: “…Oh come dovrebbero, invece, tutti gli Italiani e soprattutto i giovani, avvicinarsi    a Dante con simpatia e fiducia, con la curiosità di conoscere il più sublime e avventuroso viaggio che mente umana abbia mai concepito…”. La Divina Commedia “è il libro di attualità ancor oggi dopo sette secoli… è il libro sacro dell’anima e della cultura italiana e non bisogna soltanto ammirarlo, bisogna   amarlo e per amarlo bisogna conoscerlo…”.

La “Divina Commedia” è davvero una straordinaria, inesauribile e preziosa miniera in cui si trova di tutto, dalla quale poter attingere tanto sapere e tanta saggezza, tanti pensieri, tante massime, tanti aforismi, riflessioni e modi di dire che non possono non arricchire il lettore anche meno attento e agguerrito, ma soprattutto disposto a penetrare a fondo l’enciclopedico testo dantesco e farne tesoro per la vita. Non sanno, dunque, cosa si perdono i giovani e anche i meno giovani: perdono tutto un mondo, perdono la Bellezza, il Sublime, l’Ineffabile, la Grandezza. E Dante è tutto questo! Occorrerebbe che Dante fosse non solo un mero monumento nazionale ma qualcosa di più vivo, un patrimonio culturale popolare, letto con passione nelle scuole, nelle strade, nelle piazze, nei negozi, nei centri commerciali, negli alberghi, nelle botteghe come auspicava, nel 1989, il grande critico Gianfranco Contini, secondo il quale, in tal modo, “l’Italia si arricchirebbe moltissimo se, trascurando valori secondari, potesse vantare un Dante   popolare”, anche perché Dante è stato così moderno, innovativo, lungimirante e in anticipo su più di una cosa e lo dobbiamo sentire non lontano ma vicino a noi e, infatti, secondo Contini: “L’impressione genuina del postero, incontrandosi con Dante, non è imbattersi in un tenace e ben conservato sopravvissuto, ma di raggiungere qualcuno arrivato prima di lui”.

Non si può comprendere la grandezza e la bellezza della “Commedia”  se non si entra in essa come in un tempio, in una “cattedrale di parole” (direbbe Marcel Proust) costruita, messa in piedi, in tanti lunghi e dolorosi anni, per noi; se non si entra, se non ci si immerge nella mente e  nel complesso mondo di Dante, nella sua vita interiore, nei suoi pensieri, nei suoi sentimenti, anche quelli   che ci possono apparire duri e spietati nei confronti di  certi dannati (ma Dante si può permettere alcuni momenti apparentemente troppo duri verso    le anime dell’“Inferno” perché ha troppo amato e ama pur sempre quel “legno storto”, come lo definisce il filosofo Kant, che è l’uomo; “legno storto” che lui vorrebbe poter raddrizzare e ricondurre sulla “diritta via”, visto che preferisce percorrere quella fallace, quella che conduce nella “selva oscura” del peccato, del male, della perdizione e della dannazione eterna). “Ne la vita umana sono diversi cammini, de li quali uno è veracissimo e un  altro è fallacissimo, e certi meno fallaci e certi meno veraci”, avverte Dante nel Convivio e l’uomo tende sempre a incamminarsi su quello “fallacissimo” che allontana dal “ben dell’intelletto”, cioè da Dio che è Bene e Amore, ma anche dalla Ragione il cui “sonno”, sembra dire Dante, anticipando   il Goya, “genera mostri”. E la corruzione e perdizione totale l’uomo la raggiunge, condannandosi alla dannazione eterna, quando non è sorretto dalla Fede e dalla Ragione. Fede e Ragione, nella poetica, nella visione dantesca (che è filosofica oltre che letteraria) sono i due grandi punti fermi, due grandi pilastri che devono sorreggere l’uomo in tempi di così grande incertezza, di grande crisi di valori e devono procedere di conserva, devono viaggiare insieme e sempre in perfetta sintonia  altrimenti il rischio è quello di “perdersi”, di finire nella “selva oscura” del peccato. In verità, Dante (che con il Convivio ha scritto il primo libro di filosofia italiano) è un esaltatore del Pensiero e della Ragione, che ci distinguono dalle bestie, dai bruti e, se riflettiamo bene, egli è una sorta di cartesiano, di pascaliano e di illuminista “ante litteram” e, pertanto, appare decisamente moderno e vicino alla nostra sensibilità. Perché?  “Cartesiano” perché in lui sembra già esservi racchiusa la celebre formula di Cartesio “cogito, ergo sum”, penso, dunque sono; “pascaliano” per il grande rigore morale di stampo giansenista, la grande fede in Dio e perché sembra già dirci, prima di Pascal, che l’uomo non è “che una canna, la più debole della natura”, ma è “una canna pensante”, una canna “che pensa” e in questo, cioè nel Pensiero, consiste la sua grandezza e la sua dignità: il Pensiero che è la potente leva che ci consente di innalzarci, di elevarci (fino alla gloria e alla fama eterne, proprio come credeva Dante); “illuminista” perché egli sembra procedere secondo il metodo degli illuministi, i quali partivano dal buio, dall’oscurità,  dal mistero per arrivare, infine, alla luce, alla verità attraverso i lumi della ragione e rivelarla. Nel caso di Dante l’unica differenza consiste  nel fatto che la Ragione procede di conserva con la Fede. Inoltre, nel Sommo Poeta sembra esserci già una sorta di consapevolezza pre-kantiana e cioè egli sa già, prima dell’illuminista Kant (il quale aveva detto che l’uomo era stato fino al ‘700 un “minorenne” per non aver usato  la ragione, l’intelletto) che “la ragione è un’isola piccolissima nell’oceano dell’irrazionale” e vorrebbe che questo pensiero venisse un giorno rovesciato: “l’irrazionale è un’isola piccolissima nell’oceano della ragione”. Questo   perché il suo Sogno-Utopia è quello di poter liberare l’umanità dallo stato di miseria (morale e spirituale) in cui si trova e condurlo allo “stato   di  felicità”, come lui stesso spiega nella celebre e tanto discussa epistola a Cangrande della Scala. E, in verità, la “Commedia” appare come una continua ricerca, quasi proustiana, della felicità perduta dall’uomo con la “caduta” di Adamo ed Eva e la loro cacciata dal Paradiso Terrestre: una felicità che l’uomo sembra aver per sempre allontanato da sé preferendo il Male e l’infelicità quando, invece, per Dante, gli uomini potrebbero essere felici già qui sulla Terra: è questa che potrebbe essere per sempre il nostro Eden, ma a patto di far sorgere un nuovo tipo di uomo e di umanità. Pertanto, Dante, appare “illuminista” anche per la sua ricerca della felicità: l’Illuminismo, come movimento filosofico, si poneva il problema della felicità e del diritto degli uomini alla felicità e Dante, già prima di Denis Diderot sembra dire, lungo tutta la “Commedia” che “non c’è che un solo dovere: quello di essere felici”. Già nella “Monarchia” (trattato di dottrina politica) il suo grande sogno è quello di fondare una società e un mondo sull’amore, sulla giustizia e il progresso   degli uomini affinché essi diventassero tutti buoni e migliori e anche più felici. Ma per poter raggiungere questo nobile fine sapeva benissimo che occorreva una riforma politico-religiosa a 360° che avrebbe dovuto investire  tutta l’umanità: occorreva un “Veltro”, anzi ne occorrevano due: uno per  il Potere politico e un altro per quello religioso. Dante è un uomo che vive le incertezze e le contraddizioni del suo tempo e ha chiara la coscienza di vivere in una fase di transizione, di crisi, di declino, di decadenza e di imbarbarimento delle società umane e, quindi, ha compreso che l’unica via, l’unica àncora di salvezza per l’intera umanità sono l’unione di due grandi “assoluti”: Ragione e Fede e, politicamente, la collaborazione delle due grandi istituzioni universali, Impero e Papato. (1-Continua)