San Lorenzo Bellizzi-06/02/2012:U ncaudarott. Carnevale sanlorenzano come lo ricordo io.

U ncaudarott. Carnevale sanlorenzano come lo ricordo io.
Il carnevale sanlorenzano a differenza di quelli più famosi con tante maschere, tutte a rappresentare la burla, lo sberleffo contro i ricchi e potenti di un tempo i quali concedevano al popolo un periodo di festeggiamenti in maschera, prima del digiuno quaresimale. Nascondendo con la maschera l’identità si poteva prendere in giro i cosiddetti nobili e potenti ed era una sorta di valvola di sfogo, visti i tanti digiuni e non solo religiosi. U ncaudarott io l’ho vissuto più come una maschera propiziatoria per una vita migliore senza accentuare la burla o lo sberleffo contro i potenti, forse perché di ricchi e potenti non ce n’erano molti nel nostro paesino. Il significato etimologico del “u ncaudarott” non lo conosco. Ricordo che da bambino nella mia curiosa fantasia, pensavo che fosse una persona con qualche problema fisico, probabilmente dalla terminazione -rott che fa pensare alla parola rotto in italiano, per il fatto che veniva portato in groppa al mulo e che il festeggiare in quel modo lo aiutasse a guarire. Dunque, provo a raccontare ciò che ricordo: tenuto conto che il carnevale ricade nel periodo in cui si ricomincia dopo l’inverno a fare i lavori nei campi, tra cui la potatura delle vigne, degli ulivi etc. e siccome la persona designata a fare u ncaudarott era quasi sempre qualcuno che lavorava nei campi e che la maggior parte delle volte non sapeva di essere il prescelto, il gruppo promotore bisognava organizzare il tutto con molta discrezione. Bisognava trovare un mulo docile, poi ci si procurava una cappa di quelle grandi (un grande mantello nero in uso per coprirsi d’inverno), un cappello bello grande, un poco di carbone da poter tingere il viso di nero fumo, un suonatore di organetto e uno di tamburello. Quando tutto era pronto si andava verso il podere dove si trovava il prescelto e lo si convinceva a fare u ncaudarott. Quindi lasciava gli attrezzi da lavoro, si vestiva da ncaudarott in modo tale da non essere riconosciuto, saliva in groppa al mulo e si partiva per raggiungere il paese. Lungo il tratto di via fino alle porte del paese si avanzava in silenzio per non far sapere da quale podere proveniva u ncaudarott. Appena raggiunte le prime case, i musicanti incominciavano a suonare con grande fragore mentre il resto del gruppo cominciava a far baccano per annunciare l’arrivo di u ncaudarott. A questo punto la gente accorreva e la compagnia cresceva sempre di più. Tutti i giovani partecipavano con grande allegria. Molti di essi si mascheravano estemporaneamente con qualsiasi vestito che potesse nascondere l’identità, ricordo alcuni con abiti di “piligna” (indumenti di pelle di capra) e con campane legate ai fianchi a voler rappresentare il mondo della pastorizia. Qualcuno si vestiva da donna o da sposa ma la maschera più importante era comunque u ncaudarott che guidava il corteo rimanendo sempre a cavallo e ben coperto dalla cappa, attento a non svelare la propria identità. Mentre la sfilata del carnevale avanzava lungo le vie del paese suonando e ballando, come in una sorta di via crucis ci si fermava nei punti più larghi delle vie, dove le famiglie offrivano vino e sopressata, e dove ci si lanciava in un ballo collettivo sregolato e sfrenato (tarantella-saltarelli). Offrire vino e cibo a u ncaudarott era un gesto di generosità e non solo, era anche un augurio di buona annata agricola e di un anno buono in tutti i sensi. Quando u ncaudarott passava davanti alla propria casa, doveva continuare a non svelare la propria identità per valutare il grado di generosità e il comportamento dei propri familiari davanti ad un evento straordinario in sua assenza. Ma quasi sempre qualcuno riusciva a riconoscerlo attraverso qualche particolare che a tutti gli altri sfuggiva. Altrimenti si faceva un altro giro del paese per poi ritornare davanti a casa sua auspicando il riconoscimento da parte dei familiari attraverso il semplice sentire la sua presenza che gli avrebbe confermato il legame stretto tra i membri della famiglia. Un’altra scena del carnevale sanlorenzano erano alcuni pupazzi a misura d’uomo fatti di paglia e vestiti con indumenti laceri tale da rappresentare la povertà. Gli stessi venivano portati la sera tardi davanti alle porte di casa a cui si voleva fare uno scherzo stando ben attenti a non essere riconosciuti. Si sceglieva quasi sempre le case dei più ricchi. Si appoggiava il pupazzo contro la porta d’ingresso in modo tale che appena questi avrebbero aperto la porta il pupazzo sarebbe caduto addosso a chi apriva spaventandoli. Questo a ricordar loro che dietro ad ogni ricchezza c’è sempre un sacco di povertà.
Giuseppe Ventimiglia