Trebisacce-03/12/2015:LA POETICA DELLA “MOSCA DI WITTGENSTEIN” E DEL ROVESCIAMENTO DELL’”ETICA” DI DON ABBONDIO NELL’OPERA PSICHE E FIABA DI D. F. STAFFA E S. PALOPOLI (di Salvatore La Moglie)

Domenica Franca Staffa
Domenica Franca Staffa
Salvatore La Moglie
Salvatore La Moglie

INCONTRO CON L’OPERA

LA POETICA DELLA “MOSCA DI WITTGENSTEIN” E DEL ROVESCIAMENTO DELL’”ETICA” DI DON ABBONDIO NELL’OPERA PSICHE E FIABA DI D. F. STAFFA E S. PALOPOLI

Di Salvatore La Moglie

 

Il bel libro di fiabe (1) scritto a quattro mani dalle dirigenti scolastiche Domenica Franca Staffa e Silvana Palopoli, prematuramente scomparsa, rappresenta una notevole novità nell’editoria scolastica e non, visto anche il genere poco frequentato dagli scrittori del nostro tempo. Eppure la fiaba è nata, si può dire, da quando è nato il mondo e gli stessi racconti biblici e omerici, come quelli arabi e orientali, sembrano delle immense fiabe dove sono rappresentati il Male, i mostri, la paura, il coraggio, le debolezze e le virtù umane per farcele conoscere e per farcene prendere piena coscienza con il fine, certamente, di renderci migliori. Ebbene, anche nel testo delle nostre due Autrici ci sono importanti e significativi messaggi che, visti attraverso gli occhi dei bambini, acquistano una valenza ancor più rilevante e simbolica.

I due punti cardinali della fluente e gradevole narrazione ci sembrano costituiti dalle dicotomie paura/coraggio e problema/soluzione. C’è, però, di più. E non è cosa da poco. C’è il ribaltamento dell’”etica” di don Abbondio che, nell’immortale capolavoro di Manzoni, alla fine, da quel vile che è, afferma che se uno il coraggio non ce l’ha, non se lo può dare e, dunque, che il Male, gli Innominati e i don Rodrigo di questo mondo trionfino indisturbati!… Invece, i coraggiosi bambini protagonisti delle fiabe rovesciano la pseudo-etica donnabbondiana e coraggiosamente, appunto, accettano  la sfida e combattono contro il Male e  gli orchi che, in verità, esistono e non sono soltanto il frutto della nostra fantasia. Citando il titolo di un famoso romanzo di Niccolò Ammaniti, questi bambini sembrano dire, in coro, io non ho paura! Inoltre, i bambini di Psiche e fiaba sembrano conoscere il pensiero filosofico di Ludwig Wittgenstein, il quale sosteneva che la filosofia deve servire a risolvere i problemi, deve servire a trovare soluzioni: la filosofia dev’essere come la mosca che, infilatasi nella bottiglia, deve saper trovare il modo di uscirne. Ma i nostri meravigliosi bambini ci ricordano anche il coraggioso uomo di quella moderna fiaba che appare Il vecchio e il mare di Ernest Hemingway già nello stesso incipit : Era un vecchio che… pescava nella Corrente del Golfo… Cosa dice a se stesso, il vecchio, quando, la lama con la quale cerca di uccidere la balena si spezza? Dice: Vecchio, non pensare a quello che non hai, pensa a quello che puoi fare con quello che hai. Non solo, ma Hemingway afferma, in quel celebre racconto, che un uomo può essere ucciso ma non sconfitto. Ed è questo che sembrano dire i nostri piccoli eroi in lotta anche loro con gli “orchi” e le “balene bianche”, con i mostri del nostro quotidiano vivere che si generano con il sonno della ragione, trasformandosi in incubi capaci di toglierci il sonno e di avvelenarci la vita.

Dunque, dopo aver letto le tante fiabe contenute nel libro, ti accorgi che non possono essere dimenticati bambini come Mattia che hanno “tanta voglia di trovare una soluzione” contro la magia del vecchio stregone che, alla fine, viene sconfitto  e il mondo diventa più bello con i suoi colori; o come  Fiona, bambina “soprattutto fiduciosa delle sue capacità”, che riesce a trovare la salvezza seguendo il percorso tracciato dalle laboriose e tenaci formiche; o come Gianni che, in una  mise en abime, si ritrova protagonista “a pagina quaranta” e, in impari lotta con un orribile gigante delle nevi riesce, con coraggio, a salvarsi e vincere perché è riuscito a sconfiggere la paura e a imporsi di pensare che “per ogni situazione di pericolo esiste una via d’uscita”: “basta essere coraggiosi” e rovesciare l’”etica” di don Abbondio ragionando come “la mosca di Wittgenstein”; o, ancora, come la piccola Adelaide che “non si poteva rassegnare” perché pensava che “in qualche modo doveva trovare la via d’uscita” contro “il polverone”, e che comprende il valore dei “buoni sentimenti”; o come Gilli che, nel voler trovare a tutti i costi una soluzione, riesce a spezzare “un brutto incantesimo, un crudele sortilegio”; oppure come Miriam de I cinque ragazzi che, più coraggiosa degli altri compagni, lancia la sfida al labirinto sostenendo che una via d’uscita ci dev’essere per forza e che occorre stare calmi e riflettere perché solo così si potrà trovare una soluzione; o come, infine, Roland che, un po’ come il vecchio della “fiaba” di Hemingway, “era cresciuto imparando tutto dal mare” e che apprende a trovare la soluzione ai problemi della vita e le vie d’uscita attraverso quella particolare qualità che è l’intraprendenza, che gli vene spiegata con queste parole che sembrano voler racchiudere uno dei messaggi fondamentali delle due Autrici, che non si rivolgono solo ai bambini ma anche agli adulti, i quali non dovrebbero vergognarsi o sentirsi sminuiti nel riflettere che si può imparare anche dai bambini e che, come ha lasciato scritto Elsa Morante, il mondo può essere salvato dai ragazzini: “Si tratta della grande forza che c’è in ognuno di noi. Non si deve mai perdere di vista che bisogna agire, sempre… fare qualcosa! Non avere mai paura di provare. Cercare vie d’uscita a tutto, anche in situazioni difficili”.

Messaggio non solo altamente pedagogico ma messaggio, soprattutto, che sembra racchiudere emblematicamente tutta una visione e una concezione della vita che è stata ed è tipicamente dell’uomo occidentale e dell’uomo moderno,  da Ulisse a Robinson Crusoe: senso della scoperta, amore per la conoscenza e la curiosità, senso della hybris, intesa come sfida e intraprendenza e, quindi, coraggio nell’andare oltre il labirinto e oltre i limiti imposti da Dio o dalla natura. E’ stato grazie a questa intraprendenza se Ulisse è così importante nella cultura occidentale, se Robinson Crusoe è diventato il simbolo dell’uomo che riesce a sopravvivere dopo il naufragio su di un’isola sperduta e se, come ha spiegato bene lo storico David Landes, “capitani coraggiosi”, cioè uomini dotati di hybris, di spirito di intraprendenza e forte senso di sfida, hanno costruito la nuova  civiltà industriale nella quale viviamo che, certo, non è priva di difetti ma che ha cambiato il  volto del pianeta terra dopo circa diecimila anni dalla rivoluzione neolitica, quando l’uomo mostrò la sua intraprendenza imparando a coltivare la terra e ad allevare gli animali e, quindi, a risolvere il problema, non di poco conto, di mangiare meglio e di poter contare su altre risorse. Anche allora occorse coraggio, senso della sfida, razionalità e capacità di trovare soluzioni. E’ solo così – ci hanno insegnato  i grandi padri dell’Illuminismo –  che l’uomo (e come lui il  bambino) apprende come uscire dallo stato di minorità e presentarsi sulla scena della vita pronto a saperla affrontare e vivere senza paure, con coraggio e spirito di intraprendenza. Proprio come ci insegnano i piccoli coraggiosi eroi di Psiche e fiaba.

 

 

 

Note:1) Psiche e fiaba. Le paure infantili e la didattica della fiaba, Domenica Franca Staffa e Silvana Palopoli, Falco editore, 2008,pp108.