Trebisacce-06/02/2017:La Carità Ministeriale (di Pino Cozzo)

Pino Cozzo

La Carità Ministeriale

di Pino Cozzo

 

Le opere di misericordia sono segno del regno, segno di Dio che ha rivelato Sé stesso con la parola e con le opere come atto di Amore: “Deus caritas est”. Noi tutti cristiani dobbiamo comunicare Cristo e rivelare Dio irradiando ciò che Lui è – carità – in ciò che siamo e facciamo, nelle parole e nelle opere di carità. La carità è vera rivelazione, un’incarnazione del vangelo. Questa radicale e gioiosa carità è forse la sola e più cogente prova dell’esistenza di Dio nel nostro mondo materialista e pluralista, in cui le argomentazioni ragionate, da sole, non sono in grado di toccare e cambiare le menti e i cuori. Soprattutto il vangelo deve essere predicato da testimoni credibili. E’ perciò fondamentale, per la sua condotta e per la sua vita, che la Chiesa evangelizzi il mondo.  Rivelando Dio e il Suo amore, la carità comunica anche quell’amore che non ha eguali e che salva il mondo e sé stessi. Non solo parla di Dio, ma in un certo senso, media la presenza di Dio di cui parla. Non è solo Cristo che riceve la nostra carità, ma il grande mistero di carità è che è Cristo stesso che attua ed è presente in quella carità, per mezzo nostro. Le opere di carità sono opere di Dio, non solo perché esse diventano Suoi strumenti, ma perché sono privilegiate dalla speciale presenza di Dio, proprio perché Dio è carità. “Ogni opera di amore porta l’uomo al cospetto di Dio”. La carità si esplica in un senso “sacramentale”: comunica e rivela Dio. E’ un segno e un seme, testimone e dono. Le opere di carità ci consentono di scoprire il Dio dell’Amore che, in quella carità, non solo rivela Sé stesso come sposo dell’umanità e consolazione della nostra povertà, ma, in quegli stessi atti di carità rivelatrice, ama l’umanità e consola quella povertà. La carità non solo convince e comunica, ma attira anche, assumendo una bellezza e una desiderabilità che parla sia ai credenti che agli agnostici, divenendo un riflesso dello splendore di Dio stesso, un riflesso della bellezza di Dio. Le opere di carità sono davvero “qualcosa di bello per Dio”, poiché la carità si condivide in Dio e nella Sua bellezza. In un certo senso, la carità è bellezza. Proprio perché è bellezza, perché attrae, la carità aspetta una risposta esplicita da parte di chi la pratica. Invita, incoraggia, stimola, diventa “contagiosa”. Gli ideali attirano solo quando sono vissuti, incarnati, esemplificati. La bellezza trova il suo potere solo quando le si dà forma, e allora, “per imparare la carità, abbiamo bisogno di vederla vissuta”. La carità si autoirradia, e diventa fruttuosa e autopropagandista  con quella freschezza e vitalità di Dio stesso. Solo coloro che hanno ricevuto la carità possono credere in essa. Solo coloro che hanno visto la carità possono credere in un Dio della carità che non possono vedere. Ma una volta notata, questa carità non solo porta  a credere, ma fa ritornare alla carità, una carità ritrovata che a sua volta ricomincia lo stesso ciclo di risposta negli altri di credo-attrazione-risposta.

Questa è la nostra vocazione, di rivelare Dio. E questo vuol dire rivelare Dio, questo vuol dire proclamare la Sua presenza: irradiare Cristo con le parole e le opere del ministero della carità che, anche se piccolo, è lo specchio della bellezza della Trinità. E’ il Cristianesimo davvero la risposta alla sete del mondo? O dobbiamo aspettarne un’altra? La nostra vita e la nostra risposta possono riflettere quelle di Gesù? “Andate e dite quello che avete visto…”.