Villapiana-06/02/2017:Foibe: l’olocausto rosso, l’olocausto italiano.

 

Foibe: l’olocausto rosso, l’olocausto italiano. Oggi vogliamo essere testimoni attivi di un evento che ha scosso l’Italia, la sua gente, la sua terra. Non abbiamo vissuto quella tragedia immane ma la sentiamo nostra, la viviamo come una pagina nera e nascosta per tanto tempo cui si deve dare degna attenzione e rilevanza. La storia non può essere oscurata o taciuta, è importante perciò che ci si adoperi tutti insieme per onorare al meglio chi oggi non c’è più, chi ieri ha sofferto per le scelte scellerate di una parte politica che ha provocato solo morte e distruzione. Le foibe sono cavità carsiche di origine naturale con un ingresso a strapiombo. È in quelle 1.700 voragini dell’Istria, che fra il 1943 e il 1947 sono gettati, vivi e morti, quasi undicimila italiani. La prima ondata di violenza esplode subito dopo la firma dell’armistizio dell’8 settembre 1943: in Istria e in Dalmazia i partigiani comunisti slavi si vendicano contro i fascisti e gli italiani non comunisti. Torturano, massacrano, affamano e poi gettano nelle foibe migliaia di persone. Li considerano nemici del popolo. Ma la violenza aumenta nella primavera del 1945, quando la Jugoslavia occupa Trieste, Gorizia e l’Istria. Le truppe del Maresciallo Tito si scatenano contro gli italiani. A cadere dentro le foibe ci sono fascisti, cattolici, liberaldemocratici, socialisti, uomini di chiesa, donne, anziani e bambini. È una carneficina che testimonia l’odio politico-ideologico e la pulizia etnica voluta da Tito per eliminare dalla futura Jugoslavia i non comunisti. La persecuzione prosegue fino alla primavera del 1947, fino a quando, cioè, viene fissato il confine fra l’Italia e la Jugoslavia. Il fenomeno dei massacri delle foibe è da inquadrare storicamente nell’ambito della secolare disputa fra italiani e popoli slavi per il possesso delle terre dell’Adriatico orientale, nelle lotte intestine fra i diversi popoli che vivevano in quell’area e nelle grandi ondate epurative jugoslave del dopoguerra, che colpirono centinaia di migliaia di persone in un paese nel quale, con il crollo del fascismo, andava imponendosi la dittatura di stampo filosovietico, con mire sui territori di diversi paesi confinanti. Le torture del Maresciallo che voleva la grande Serbia fu l’inizio di una prima mattanza, anche se questo progetto di distruzione della presenza italiana in quei territori era già stato concepito nel 1942. Questo primo omicidio di massa condusse centinaia di uomini sull’orlo della foibe. Non si pensi che nei confronti degli italiani ci si limitasse ad eliminarli rapidamente, prendendoli e gettandoli nelle foibe; queste povere vittime furono fatte oggetto di ogni tipo di violenze, secondo un tipico costume balcanico che abbiamo purtroppo rivisto durante le guerre nell’ex Jugoslavia degli anni 90: gli uomini venivano privati degli occhi, le donne violentate. Ma le atrocità non conobbero limite: una povera maestrina fu chiusa dentro una stanza, violentata da 17 partigiani titini, crocefissa a una porta, impalata e gettata in una foiba; don Tarticchio, un prete che aveva l’unico torto di essere tale, fu crocefisso, evirato e gettato con la tonaca e con una corona di filo spinato in una foiba, e così fu trovato; e sopra a questi corpi i partigiani slavo-comunisti gettavano (perché, secondo la loro tradizione, fossero perseguitati anche dopo la morte) delle carogne di cani neri. Questo primo massacro durò solamente qualche giorno; i partigiani slavi non riuscirono ad ammazzare tutti gli italiani di quei territori, ma solo poche centinaia perché l’esercito tedesco partendo dalle città occupate arrivò anche nei villaggi. Il loro scopo non era salvare gli italiani, bensì controllare il territorio dell’Istria e della Dalmazia perché lì giungevano tutte le vie di comunicazione dalle miniere, dei rifornimenti di materie prime e particolarmente del petrolio che giungeva dalla Romania, ancora sotto il controllo dell’Asse: avevano quindi semplicemente bisogno che il territorio fosse – questa è la terminologia utilizzata dal Commissariato Supremo tedesco Rainer – «pastorizzato», quindi reso tranquillo. A questo fine le truppe tedesche si scatenarono: ogni prelevamento di italiani effettuato dai partigiani titini veniva punito con l’incendio totale dei paesi interessati e con la deportazione di tutti gli abitanti; e, dopo alcune dure rappresaglie, il fenomeno cessò immediatamente. Di fatto fino al 1944 questi massacri non si verificarono più, a parte qualche scontro sporadico che veniva immediatamente represso dalle truppe tedesche con una spirale di rappresaglie, cui talvolta si rispondeva con controrappresaglie, nello stesso stile che vediamo ancor oggi praticato in Medio Oriente. il giorno del ricordo che oggi vogliamo ardentemente portare all’attenzione, non è solo dedicato al dramma degli infoibati, è il giorno anche di quei 350 mila italiani costretti a lasciare la loro terra per essere sfollati al di là del nuovo confine. In un contesto bellico angoscioso e terribile, politicamente confuso, i profughi giuliani furono considerati un peso ulteriore alle privazioni della guerra, per coloro che non ebbero parenti o amici in grado di accoglierli, furono in maggioranza relegati in campi profughi dove restarono per anni. Per tutta la durata del cosiddetto “dopoguerra” fino ai nostri giorni, la crudele vicenda delle foibe è stata ignorata nel totale disinteresse delle forze politiche, solo nel 2005 il Parlamento italiano ha dato inizio all’annuale commemorazione di una delle pagine più tristi della nostra storia, in memoria delle vittime e dell’esodo giuliano-dalmata. L’olocausto rosso è ormai divenuto il simbolo del sacrificio in nome dell’italianità. In quelle terre riposano oggi i resti straziati di tanti connazionali che nell’oscurità invocano solo che la loro storia sia narrata, soprattutto ai giovani, affinché non ci siano nell’immaginario collettivo morti di serie A e morti di serie B.

ALESSANDRO BARTOLOMEO

Segretario Regione Calabria

FIAMMA NAZIONALE