Rocca Imperiale-25/06/2018: Presentato il libro: “Hanno rapito Moro!”

Rocca Imperiale:25/06/2018

 

Presentato il libro: “Hanno rapito Moro!”

“Hanno rapito Moro!” è il titolo del libro, fresco di stampa, di Salvatore La Moglie, edito da Macabor (Casa Editrice di Francavilla Marittima), presentato nel pomeriggio di domenica 24 giugno 2018, nella nuova Sala Consiliare, all’interno del Monastero dei Frati Osservanti. Al tavolo dei relatori: Rosaria Suriano (Assessore alla Cultura nel ruolo di moderatrice), il Sindaco Giuseppe Ranù, il docente di Lingua Inglese dell’I.T.S. Filangieri di Trebisacce Giuseppe Cozzo, il Direttore del mensile “Eco Rocchese” Francesco Maria Lofrano, l’autore del libro Salvatore La Moglie. Seppure in una sala poco gremita, gli intervenuti hanno seguito con interesse i vari interventi. La moderatrice Suriano ha ringraziato i presenti e subito dopo ha introdotto il complesso tema del libro che presenta il racconto del giorno più lungo della Repubblica. A seguire Francesco Lofrano che ha esposto i valori come il rispetto della persona, della famiglia, dei diritti da riconoscere alle persona e sanciti dalla Carta Costituzionale, della famiglia, dell’istruzione nei quali credeva il giurista e statista Aldo Moro. Come uomo politico aveva lavorato tanto per consentire l’ingresso del PCI di Berlinguer nella maggioranza di governo, cosa alquanto nuova e delicata che ha decretato il suo rapimento prima e la sua morte dopo per colpa delle BR e non solo. Infine per sintesi si soffermato sul ruolo assunto dalla stampa in quei funesti 55 giorni. Giuseppe Cozzo ha raccontato l’intero contenuto del libro e con dovizia di particolari. Ha esaminato il ruolo della Chiesa, della situazione politica, della posizione Americana e quella della Unione Sovietica, il progetto delle BR e così via. Il sindaco Giuseppe Ranù ha ricordato la figura dello statista Moro e ha affermato che era un lungimirante e anticipatore dei tempi. Una figura che non è assolutamente facile da trovare come punto di riferimento. E specialmente oggi si ha bisogno e ha tratteggiato le varie problematiche attuali a cui Moro sicuramente avrebbe potuto dare delle risposte certe e sicuramente a vantaggio dell’Italia e degli italiani in un contesto europeo. Infine le conclusioni all’autore Salvatore La Moglie che con tutta la sua grande passione ha raccontato fatti contenuti nel libro e fatti inediti che hanno sorpreso non poco gli udenti. Ha parlato del ruolo dei servizi segreti, della P2, dei Gladiatori, cioè degli uomini appartenenti alla struttura della Nato denominata Gladio e messa in piedi negli anni Cinquanta per contrastrare il comunismo nei paesi occidentali sotto influenza americana. In via Fani, il 16 marzo, insieme ad alcuni brigatisti messi lì come copertura ideologica, c’erano questi uomini dei “servizi paralleli”, legati ampiamente alla famigerata Loggia massonica P2 (Propaganda 2) di Licio Gelli, uomini della ‘ndrangheta calabrese come Giustino De Vuono e Antonio Nirta. L’autore ha parlato pure del ruolo del “bar Olivetti” che per quasi 40 anni è risultato chiuso il 16 marzo mentre, invece, era aperto e ha funzionato come copertura e luogo per la buona riuscita dell’imboscata alla scorta di Moro; quindi della presenza in via Fani del colonnello Guglielmi, iscritto alla P2, che era andato lì per assicurarsi che l’“operazione Moro” fosse andata a buon fine. Ma lo scrittore si è soffermato anche sulle prigioni di Moro e soprattutto su quella possibile, secondo la Commissione Fioroni, nei primi giorni del sequestro, in via Massimi, in quanto la più vicina a via Fani e non soggetta a controlli delle forze dell’ordine in quanto alcune abitazioni appartenevano ai servizi segreti e allo IOR (Istituto Opere Religiose, ovvero la banca vaticana) guidato da un personaggio come mons. Marcinkus. Si è parlato anche del covo di via Gradoli e della famosa seduta spiritica e del fatto che il ministro degli Interni Cossiga non sapesse che a Roma quella via esistesse… L’autore ha parlato pure dell’uccisione di Moro: è avvenuta con dodici colpi intorno al cuore e in posizione seduta sul cofano o all’impiedi ma certamente non dentro al bagagliaio come si è fatto credere per quarant’anni. Un particolare agghiacciante è quello per cui Moro ha dovuto subire lo scuoiamento della pelle della testa per poter stabilire se fosse stato narcotizzato, come allora si ripeteva da più parti. Una cosa, però, che l’autore ha tenuto a sottolineare è che Moro era oggetto di attenzione dei poteri forti e dei servizi “alleati” e nostrani sin dagli anni del centrosinistra. La sua politica di apertura al PSI di Nenni non piaceva alla parte più conservatrice e reazionaria del paese e, nel 1967, sul periodico “Il mondo nuovo d’oggi”, Mino Pecorelli (allora sconosciuto) rivelò che nel 1964 si era deciso di rapire e di uccidere Moro per toglierlo dalla scena politica, facendo ricadere la colpa del delitto sull’estrema sinistra (come sarà poi nel 78!…). Il piano non fu attuato perché poi il centrosinistra prese una direzione  moderata che tranquillizzò un po’ tutti i conservatori e gli anticomunisti. Non solo, ma Moro doveva morire anche nel 1974 nella strage del treno Italicus: fu salvato in extremis da due funzionari dei servizi che lo fecero scendere con la scusa che doveva firmare dei documenti importanti. Quello, però, era anche un avvertimento: se vogliamo, possiamo eliminarti quando vogliamo. Moro, però, va avanti con la sua coraggiosa politica di apertura al PCI che non piaceva a una parte del paese e alle superpotenze USA e URSS in quanto destabilizzava l’assetto geopolitico stabilito a Jalta nel 1945. Secondo questo assetto l’Italia era ritenuto un paese a “sovranità limitata”  e da tenere sotto tutela e sorveglianza speciale. Moro voleva anticipare il crollo del Muro di Berlino e uscire dalla soffocante “logica di Jalta” che non concedeva autonomia e dignità di paese sovrano all’Italia. Egli ha sfidato con coraggio i grandi poteri interni e internazionali e per questa sua hybris ha pagato con la vita. E a via Fani, dunque, ha spiegato La Moglie, c’è stato un vero e proprio colpo di stato che, però, non fu portato avanti fino alle sue estreme conseguenze perché, probabilmente, la classe politica, nel suo insieme, scelse subito la “linea della fermezza” (avallata anche dalla maggior parte della stampa e dei mezzi di comunicazione) che evitava di trattare con le BR per la salvezza di quello che certamente sarebbe stato il futuro Presidente della Repubblica. E così Moro fu abbandonato al suo tragico destino, abbandonato anche dal Vaticano e dallo stesso Papa che, alla fine, appoggiò la linea del governo di liberare Moro senza condizioni. L’URSS, dal canto suo, ottenne che il PCI non desse il “brutto esempio” di essere forza di governo insieme alla classe politica borghese e una forma di comunismo dal volto umano; non solo, ma ottenne in cambio la rinuncia degli USA alla bomba N (ai neutroni) e un golpe filosovietico in Afghanistan sul finire dell’aprile del 1978. Questa è la verità indicibile e inconfessabile sull’affare Moro (verità, purtroppo, ancora incompleta e non esaustiva). Infatti, del caso Moro, ancora oggi non si conoscono i mandanti e tanti fatti meritano ancora una certa riflessione e ricerca storica come, per es., la scomparsa di una delle borse più importanti  del presidente e, soprattutto, la scomparsa del “Memoriale”, di quello non censurato e nascosto o distrutto da chissà chi.  Quaranta anni di storia non sono bastati a fare luce, ma si continua nell’analisi e nella ricerca perché non può rimanere impunito il Colpo Mortale inferto all’Italia e alla democrazia nata dalla Resistenza. E, dunque, del caso Moro, per il mio sapere giornalistico,ancora oggi non si conoscono i mandanti e tanti fatti meritano ancora una certa riflessione e ricerca storica. 

Franco Lofrano