Trebisacce-26/06/2019: Incontro con un’opera: La poetica del viaggio mancato e della poesia come dono nell’opera di Mariateresa Protopapa   di Salvatore La  Moglie  

Mariateresa Protopapa
Salvatore La Moglie

Rubrica letteraria a cura di Salvatore La Moglie

Incontro con un’opera: La poetica del viaggio mancato e della poesia come dono nell’opera di Mariateresa Protopapa

 

di Salvatore La  Moglie

 

L’opera della salentina poetessa-medico Mariateresa Protopapa* sembra essere dominata essenzialmente da una visione poetica in cui a spiccare appaiono soprattutto il tema del viaggio mancato e quello della poesia intesa come dono: dono che è dato da Dio a noi e dono che, poi, noi diamo, offriamo agli uomini quasi come dei moderni Prometei, al fine di rendere più leggera la nostra vita e quella degli altri esseri umani. La nostra autrice sembra, infatti, conoscere il pensiero del filosofo tedesco Nietzsche secondo il quale creare è la più grande liberazione dalla sofferenza ed è la sola attività che può renderci la vita leggera. Perchè la vita ha una sua pesantezza, spesso insostenibile,  che solo l’arte e la poesia in particolar modo possono renderci leggera e sostenibile.

Tutto questo lo si può rintracciare, con attenta lettura, soprattutto nell’opera Alessandra. Il dono che salva, di recente pubblicazione presso l’editore Santoro di Galatina. E già il titolo Alessandra nasconde una metafora, anzi un’allegoria: quella della Poesia. Perché, in verità, Alessandra non è altro che la personificazione della Poesia, della poesia come dono degli dei o di Dio per rendere meno amara la vita agli uomini, per non far sentire loro il dolore del mondo e come estrema àncora di salvezza di fronte a una realtà e a un mondo che appaiono sempre più cattivi, spietati, complessi, indecifrabili e difficili da vivere e da abitare. E così la poesia, la scrittura diventano terapeutiche, fonte di salvezza per noi e per gli altri appunto nella consapevolezza, già così ben espressa da  Svevo, che fuori della penna non c’è salvezza. E, forte di questo assioma ma anche del lascito del sommo Petrarca per il quale cantando il duol si disacerba, l’autrice può anche, alla fine, ritrovarsi con l’animo rasserenato e meno incupito per non aver potuto spiccare, come avrebbe voluto, quel volo che le vicende della vita le hanno dolorosamente impedito.

E qui siamo a quella che a noi piace definire la poetica del viaggio mancato. Perché, in verità, in più di una lirica è rintracciabile il tema del viaggio che poteva esserci e non c’è stato, di quel volo che le vicende della vita ci hanno impedito di spiccare e di poterla rendere più piacevole, meno dolorosa, appunto, anche se, forse, più prosaica e meno poetica. E, pertanto, nella sublimazione artistica, poetica il tema doloroso, quasi sanguinante, del viaggio mancato spesso si affaccia, ritorna prepotente e il lamento della poetessa diventa più stringente e pieno di angoscia perché non vorrebbe perdere il filo di Arianna / nella scia che conduce al cuore / per spaccare l’eterno dolore. Per fortuna, però, ci sono, a soccorrere, le ali fatate dei sogni che vinceranno in eterno sulla dura realtà della vita.

Per una donna che afferma che fortemente volli esser così anche il tempo sembra esser passato, bagnato di amaro / consumatosi nell’attesa / nell’incerto stillicidio degli anni, / anni pesanti, / che gravano sulle speranze. E, purtuttavia, il viaggio, il desiderio di spiccare il volo resta sempre la meta delle mete: E intanto vado, / vado verso sud, / voltandomi ad est. / Nel muto richiedere / di un monotono sperare… Sapendo, comunque, che tutto è un vano sperare e sognare, perché i sogni non aiutano a vivere ma sono solo un anestetico per il proprio dolore. E, sempre presente, è la croce e la sofferenza di Cristo che da duemila anni si rinnova e si replica nella sofferenza di milioni di uomini su questa crudele terra che non può che offrirci solo qualche scheggia di illusione di fronte al male di vivere.

Il tema del volo e del viaggio mancato si trova più ben espresso nel poemetto Volerò dall’Africa in terra d’Otranto. Infatti, l’incipit recita così: Sì, volerò, / volerò lontano, / con le ali ai piedi, / prigionieri nella morsa / del caldo africano. Volerò lontano, / ad occhi chiusi, / con un brivido in gola…/ Volerò, / volerò lontano. / Avrei voluto, / ciò che non potrò volere / per lo stupido, presuntuoso sogno / di volare, di farmi vedere / di portare a spasso / con lo sguardo assente / in terra amica e straniera il mio sogno, / quello di tutti / qui insieme ammassati / sul tetto dondolante della terra… / Ma io volerò, / volerò lontano, / lontano / su pianeti liberi dal nemico, / liberi dalla fame / e dalla preoccupazione… Però, c’è, piena, questa consapevolezza e cioè che: il volo è ingannevole / e io volli andare lontano / lontano dove il tempo non sarebbe stato / fendente nel vuoto, / sospeso tra il dove e il come, / la sete e il quando. Tuttavia, l’aspirazione a spiccare il volo, a compiere il viaggio, fosse pure mentale, non viene mai meno. Infatti, subito dopo, si legge che: Sì, volerò,  ed è qui che si compie il mio sogno…/ e, forse, arriverò in una terra straniera. Forse per dimenticare le distese spezzate di nostalgici anni, ma volerò lontano / oltre la terra / mia e tua.  Ma, alla fine, si domanda la visionaria e onirica narratrice: che resterà di questa  vita? / Una cicatrice sul mondo / nascosta alla luce… E resta soprattutto il rammarico finale: Fu così breve il viaggio, / seppur arido / terreno quaggiù… e se non c’è Dio pronto a salvarmi allora tutto vorrei rinascere / ma non carne, / per non soffrire; / per non patire, / morire;/  morire così; / mentre il mondo respira… Tutto questo nella dolorosa consapevolezza che: Non so dove sono, / non so quel che ero, / nè sarò mai. Avrei voluto volare…/ salvarmi; / sognare

Insomma, quella dell’io poetico narrante è – direbbe Pirandello – una vita incompiuta ma anche un’esistenza agli orli della vita, in cui i sogni perdono la strada del ritorno e ci si ritrova sempre più fragili ed esposti al mare in tempesta della vita e ti chiedi se essa abbia un senso e se sia un bene o un male proseguire nel viaggio pieno di insidie e di amarezze di un vita che appare come appoggiata su un parabrezza e che sembra barcollare davanti al precipizio dei sogni. Moravia parlerebbe di una vita che non persuade della propria effettiva esistenza anche e soprattutto perché non vuole osare / di spiccare il volo e che per paura della felicità chiude gli occhi e spegne la propria vita alla vita. E così non c’è tempo / per la gioia e tutto sembra ruotare intorno alla giostra dei ricordi e a un vivere non vivere, a un’esistenza non voluta, a una vita cioè che è vissuta secondo la teoria sveviana dell’inettitudine, della paralisi, dell’inerzia, della malattia della volontà perchè il nostro Io ha un pessimo rapporto con la realtà che lo circonda e dalla quale si sente sopraffatto. Il terreno illudersi non è fatto che di desideri ingialliti e di cassetti polverosi dove, magari, conserviamo tristi e dolorose memorie, sogni soffocati, molecole di vita inesperta, il vagheggiamento di un percorso (di vita)  sperato ma negato e il terribile freddo della solitudine.

Non resta al narratore poetico che la voglia di planare nell’infinito, perché la tensione verticale, la tensione verso Dio e l’infinito tuttavia non muore, resiste e fa accettare una vita che non sentiamo nostra; ma quel che più rende forti e resilienti di fronte al cancello rotto della vita è sempre lei: la Poesia, la Poesia che, come ha scritto Foscolo, di mille secoli il silenzio vince e ci illude di poter rimanere eterni attraverso i nostri stupidi versi ai quali affidiamo messaggi per coloro che verranno. E così la fame di vita, di una vita impossibile (avrei voluto / un’altra vita), si trasforma in fame di eternità, visto che sulla terra siamo come barche, / piccole barche / attraccate al molo di un porticciolo / a cui nessuno bada.

In conclusione, si può affermare che la poesia di Mariateresa Protopapa risente della magistrale lezione poetica ermetico-decadente che con Montale, Ungaretti, Quasimodo e Saba ha posto al centro della sua riflessione la crisi dell’uomo e il male di vivere di fronte alla Modernità e alla complessità di un mondo sempre più difficile da affrontare e molteplicemente interpretabile. Infine, alla sua poetica si confà certamente il pensiero del grande Pessoa secondo il quale la letteratura, come tutta l’arte, è la confessione che la vita non basta.

 

* Mariateresa Protopapa è originaria di Gallipoli ed esercita la professione di Medico presso l’ASL di Lecce con Master Specialistico di Primo e Secondo Livello in Biomedicina Molecolare presso l’Università del  Salento. Scrittrice, poetessa e saggista appassionata di tutte le forme di comunicazione scritta, è autrice, fra l’altro, di un saggio scientifico dal titolo Alleanza terapeutica contro i mali del tempo. Ha scritto numerosi componimenti poetici: Oltre il cielo, La terra delle pajare; di Pizzicati dal sole; i poemi Sotto la piega dell’ala del gabbiano e Fragile ma soprattutto delle raccolte Ciò che conta, Rinasceresti ancora, I versi dell’amore, Volerò dall’Africa in Terra d’Otranto, Al cantor dell’anima e del romanzo dal titolo Giuliano Grassi. I componimenti poetici della Protopapa sono inseriti in diverse antologie letterarie e hanno ottenuto numerosi e prestigiosi riconoscimenti in Premi Nazionali e Internazionali. Numerosi articoli su Gazzetta del Mezzogiorno, Corriere Salentino e Quotidiano di Puglia mettono in evidenza il suo costante impegno in ambito culturale.

L’autrice stessa ha realizzato un Concorso letterario, il Premio Mario Caputo – Maria Domenica Caroli “De Finibus Terrae” che ha riscontrato successo di pubblico e di critica. L’8 Marzo del 2017 la scrittrice salentina è stata ufficialmente dichiarata, per mezzo stampa su www.giornaledipuglia.com, “Scienziata e Letterata Eccellenza di Puglia” con un articolo di Francesco Greco. La sua passione per la letteratura l’ha portata ad iscriversi alla Facoltà di Lettere presso l’Università del Salento con l’intento di acquisire maggiori competenze e conoscenze.

Altre opere sono in cantiere e in fase di pubblicazione: Il bambino ai piedi del melograno in fiore, Lettera al Filosofo Rocco Aldo Corina, un trattato sulle Malattie Rare prima parte, Il Duca di Biancamano (melodramma libretto in 5 atti per opera lirica), L’uomo delle stelle, dialogo tra un poeta e un pescatore (testo teatrale).

Il 7 Marzo 2019 è stata insignita del Premio Donne di Puglia 2019 e, infine, il 26 aprile 2019   le è stato conferita l’importante e prestigiosa onorificenza di “ambasciatrice di pace nel mondo” per la valenza universale dei suoi scritti.