Trebisacce-26/08/2019: Un racconto di Salvatore La Moglie che fa rivivere la civiltà contadina con i suoi sani valori, ormai definitivamente perduti –   I pesci e il pane

Rubrica letteraria a cura di Salvatore La Moglie

 

Un racconto di Salvatore La Moglie che fa rivivere la civiltà contadina con i suoi sani valori, ormai definitivamente perduti

 

I pesci e il pane

 

 

Passava per il nostro paese di solito ogni sabato. Arrivava dalla marina col suo motocarro azzurro accompagnato da suo figlio, che era un ragazzo bruno come lui e con capelli nerissimi alquanto disordinati. Avrà avuto la mia stessa età, cioè una dozzina di anni. Si fermava, come sempre, nello spiazzo di fronte a casa mia e cominciava a urlare: «Pesci! Pesci! Sono arrivati i pesci freschi di giornata… Abbiamo le aguglie, le sarde, le alici, la rosamarina… Avvicinatevi e comprate… costano poco…».

Io e mia madre eravamo in casa, al pianterreno. Mio padre era in campagna con mio fratello, che era poco più grande di me, e le mie due sorelle che erano più grandi di mio fratello. Il maggiore di noi tutti era partito da qualche mese per il Nord per fare fortuna e avere un futuro migliore.

Era una caldissima giornata di luglio e il povero pescivendolo si era tolto la paglietta per asciugarsi con un fazzoletto la testa bagnata dal sudore. Era un uomo di circa cinquant’anni, con capelli e baffi neri, che cercava si sfamare come poteva la sua numerosa famiglia, un po’ come faceva mio padre che al mondo ne aveva messi cinque (ma sarebbero stati sette se una non fosse morta piccolina e un altro fosse venuto alla luce).

La vita della povera gente, dei contadini come dei pescatori o dei braccianti era molto dura dalle mie parti e il mio paese  era uno di quelli che sembrano lontani dal mondo. Il paesaggio, l’ambiente, le vie con i fanghi, lo sterro e il selciato quando c’era davano l’impressione di una scena neorealistica, eppure eravamo non negli anni ‘40 o ’50 ma negli anni ’60. Sembrava che la modernità facesse difficoltà ad arrivare da noi, tanto è vero che erano ancora tanti a non avere in casa  un adeguato  servizio igienico, visto che certi bisogni corporali si facevano ancora in vasi di terracotta che, poi, la mattina successiva si cercava di smaltire come si poteva.

Eppure devo dire che la gente, con tutte le difficoltà che la vita impone e con tutta la miseria che circolava nel paese, la gente, la povera gente, i cui volti io ho conosciuto e non dimentico, la gente era, a modo suo, felice. Bastava poco per sorridere e si scherzava come per non pensare ai problemi della vita. Quando con la mente e con la memoria ritorno indietro di decenni e rivedo tante scene con i suoi poveri protagonisti, mi dico che forse aveva ragione Pasolini quando scriveva che i poveri di una volta erano più felici di quelli di adesso. Sì, erano più felici, e lo erano certamente perché erano più semplici, più autentici, più solidali fra loro, più buoni e più onesti e leali. La parola data era sacra e i valori dell’onestà e della rettitudine erano al posto più alto e violarli significava perdere per sempre la faccia, non riuscire più a guardare negli occhi la persona tradita e offesa. Insomma, i sentimenti erano sentimenti veri e i valori erano valori veri e i miei genitori ci avevano sempre insegnato (loro, con appena la quarta elementare mio padre e la seconda mia madre…) che nella vita bisogna essere onesti e buoni, che il male è meglio subirlo che farlo e che la verità e la sincerità sono preferibili alle bugie e alle menzogne. «Figli miei», ci ammoniva sempre mio padre, «meglio poveri ma onesti. Siate sempre corretti e leali con il vostro prossimo, il Signore vede tutto e la mano di Dio è grande e ci aiuterà sempre».

Mio padre era sempre stato un grande credente e, confesso, che avrei voluto esserlo anch’io perché potersi aggrappare a un dio nella vita aiuta. Diceva che non si può essere credenti solo quando le cose vanno bene, ma bisogna esserlo anche quando vanno male, anche quando soffriamo e sembra che Dio non c’è e che avere fede sia inutile. Anche  il  povero  pescivendolo  era molto  credente. Diceva

sempre: «Con l’aiuto di Dio, anche questa volta riesco a dar da mangiare a mia moglie e soprattutto ai miei figlioli, che lei, povera donna, si toglie il mangiare dalla bocca per darlo ai figli…».

Mia madre ed io eravamo usciti e c’eravamo avvicinati al motocarro. Mia madre cominciò a guardare nelle cassettine con i pesci che il pescatore aveva messo l’una accanto all’altra sul portabagagli del treruote. Dopo un po’ gli disse: «Mi date un piatto di sarde con un po’ di alici?».

Il pescivendolo rispose: «Datemi il piatto più grande che avete».

E mia mamma: «Il più grande?… Ma io… non so poi se posso pa…».

E lui, interrompendola, replicò: «Brava donna, vi dico andate a prendere il piatto più grande che avete e non preoccupatevi di niente. Non ci conosciamo mica da oggi…».

Mia madre tornò in casa e andò a prendere il piatto più grande che c’era e glielo diede. Lui lo riempì di pesci finché ce ne stavano dentro. Mia madre non sapeva cosa pensare. Disse: «Quanto vengono tutti questi pesci? Chissà quanto vengono!…».

E il poveruomo: «Non vengono nulla, signora mia, non vengono nulla!». E subito dopo aggiunse: «Datemi solo un po’ di pane per il ragazzo. Ha tanta fame…».

E mia madre: «Perché non me l’avete detto subito, povero ragazzo! Ha fame, ci credo, è in giro da questa mattina. Adesso vado a casa e ci penso io. Vengo subito». Quindi, rivolgendosi a me disse: «Robertino, vieni con me».

Io la seguii. Avevo capito che la mia mamma, per non far sentire in imbarazzo quel ragazzo, avrebbe dato da mangiare pure a me. Del resto, fra non molto, si stava per avvicinare l’ora del pranzo. Si trattava soltanto di anticipare di quasi tre quarti d’ora. Mia madre era così brava che con poco era capace di preparare una tavolata per

 

dieci persone. Incominciò a tagliare delle grosse fette di pane che facevamo nel forno ed era così buono. Le posò su un piatto enorme e poi prese dei pomodori “gioiello”, belli grandi e rossi che producevamo noi nel nostro terreno, così buoni e saporiti che ne avresti mangiati a chili. Mia madre cominciò ad affettarli e a disporli sulle fette di pane per poi condirli con il nostro buon olio di oliva insieme a delle pizzicate di sale. Dico nostro perché noi producevamo un po’ di tutto e non ci mancava mai la frutta, gli ortaggi, il vino, l’olio, appunto, le olive conservate nelle giare e ogni ben di Dio che la terra ben coltivata ci dà. «Ogni bene dalla terra viene», era solito dire mio padre e quello che producevamo noi con tanta fatica era tutto come natura crea, persino il concime era naturale: il letame che usciva dalla stalla in cui stava l’asina, chiamata Trapanarella, alla quale io ero legatissimo. Guai a chi mi avesse toccato la mia asina!

Mia madre varcò la soglia di casa e disse: «Venite, è pronto!».

«Ma signora, non dovete disturbarvi. Solo un po’ di pane per il ragazzo». E mia madre: «Ancora siete lì! Su, entrate!».

Una volta a casa, mia madre li fece sedere e disse: «Mangiate e bevete un po’ del nostro vino. È un cerasuolo così buono che sembra un liquore. Mio figlio vi farà compagnia. Ha fame pure lui. Sono vite che crescono e l’appetito c’è, eccome!».

   «Grazie. Grazie. Io non so come ringraziarvi. Vi state disturbando troppo», disse il buon pescivendolo e mia madre ribatté: «Perché, forse voi non siete stato generoso?».

   Sorridemmo un po’ tutti ed io e il ragazzo mangiammo come due piccoli lupi, guardandoci ogni tanto negli occhi e scambiandoci, di tanto in tanto, qualche sorriso. Alla fine eravamo tutti felici e contenti: noi dei pesci e loro del pane con in più un sacchetto di pomodori che mia madre diede loro per portarli in famiglia. Era bastato poco per essere felici. Forse ho scoperto allora che la felicità può consistere anche in un solo piccolo gesto di bontà e di solidarietà tra gli esseri umani che, il più delle volte sono portati a sbranarsi e a farsi del male quando è così bello farsi del bene e aiutarsi l’un l’altro anziché essere l’un contro l’altro armato.

   Quel lontano episodio della mia vita lo porto sempre con me e quando vedo un piatto pieno di pesci o uno con dentro del pane e insieme dei grossi pomodori… la mia mente rivede quella scena: un padre e un ragazzo, una madre e un ragazzo e poi i pesci e il pane. E non posso fare a meno di rimpiangere un piccolo antico mondo ormai per sempre perduto e che più non tornerà.

 

 

 

 

 

 

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