Trebisacce-07/03/2020:    LA “VIA”

                                                         

       LA “VIA”

 

Il nostro lineage marziale è stato sempre orientato all’insegnamento del Kung Fu Wushu più essenziale, rifacendosi alle fondamentali tecniche di combattimento orientali, nelle quali non si praticava per vincere una coppa o una medaglia, ma per preservare piuttosto la propria vita e quella dei propri cari.

Un sistema marziale che quindi non concede niente alla spettacolartà  fine a se stessa, privilegiando invece tecniche che possano dare, a coloro che si avvicinano alla pratica, la possibilità di saper gestire situazioni nelle quali si presenti anche una certa componente di rischio, dando la massima risposta in caso di necessità.

L’obiettivo primario della capacità di difendersi deve essere collegato ad una  filosofia di vita che si addentra in un addestramento mentale, che ha come  obiettivo la realizzazione spirituale.

Ciò che spinge alla pratica  è quella meravigliosa atmosfera, ricca di sacralità, che, sotto una  guida esperta e sincera, raggiunge un fascino già di per sé stesso  purificante ed avvincente. Volendo esplorare in profondità l’orizzonte  indicato allo spirito, ci si inoltra fin dall’inizio allo studio della  filosofia parallelamente alla pratica marziale. Questo fortunato binomio  è un rifugio concreto che permette di  valutare e superare quei disagi esistenziali presenti in molti  occidentali riconducibili, almeno in parte, al conflitto in atto da  tempo, fra scienza e religione.

Ecco che in quello spazio tra le due  cose, si colloca la filosofia di stampo orientale, che con il supporto  delle tecniche corporee, rivaluta il soggetto ed il suo campo del  vissuto. Offre così un veicolo per accedere ai più alti valori dello  spirito.

Alla  luce di una critica sincera ci si può accertare facilmente che gran parte  dell’attività era ed è di stampo commerciale, sorretta da una logica  implacabile. Fra tanto artificio e sfarzi folcloristici, è bello intravedere  la possibilità di potersi addentrare in un tipo di pratica dai  modi coerenti agli obiettivi del Wushu Kung Fu nella sua massima  espressione.

In termini pratici ci si  orienta nella ricerca di  Maestri che seguono i veri modi di agire e di pensare di una  tradizione che non conosce segretezze. Questa linea è costituita da  Maestri che sono rimasti svincolati da quegli aspetti socioculturali  complessi della Cina, aspetti che prevedono che l’autenticità  dell’addestramento marziale sia riservato a pochi eletti mentre alla  maggioranza il Wushu sia insegnato sotto forma di sovrastruttura tecnica  criticabile.

Di conseguenza, sia da un punto di vista delle tecniche  effettive di combattimento che di quelle energetiche, questa linea di  Maestri propone sempre un sincretismo che rivolge direttamente  all’obiettivo. In effetti è questo il modo autentico di presentare  l’arte marziale così come avveniva nei luoghi ancestrali del Wushu della  Cina di un tempo.

Nella consapevolezza di non poter peccare di  assolutismo, vista la delicatezza dell’argomento combattimento in  termini di realismo, questi maestri interagiscono tra loro con  sufficiente eclettismo in scambi tecnici. Ciò non risulta assolutamente  ostico poiché, occupandoci realmente di combattimento, le scuole tendono  a somigliarsi in vari punti permettendo un lavoro omogeneo. Quanto  detto può apparire ovvio e scontato per lo sviluppo delle arti marziali.  Eppure, come prima accennato, di questo modo di praticare il Wushu in  Cina se ne ode da sempre una fievole voce del tutto sormontata dal modo  di insegnare che questi maestri non condividono. Secondo il Maestro Wang  Xiang Zhai (1886-1963, il più conosciuto in occidente di questa  tendenza, e fondatore del metodo denominato “Yi Quan”), è in questi  termini essenziali che era orientato l’insegnamento di Bodhidharma fra  le mura del Tempio di Shaolin 1500 anni fa. Vi accredita addirittura  l’origine della sua scuola.

Questo Maestro mosse più volte aspre  critiche circa l’usanza popolare di insegnare il Wushu sotto forma di  sovrastruttura. Critica rivolta in particolare ai Dao Lu (forme), i  quali contenuti sostituiscono l’autentica strategia basata  sull’adattamento alle circostanze. Il Maestro Wang riscontrava in tale  fenomeno la ragione del degrado del Wushu ai sui tempi ed ancor prima.

 Così, per queste scuole, come l’essenza dell’insegnamento di Sakyamuni,  il Buddha, è svincolato dalle scritture, la vera essenza delle arti  marziali, è trasmessa al di fuori delle strutture e ciò, accompagnato da  una sufficiente base culturale, è guida diretta verso la perfezione  spirituale. Comunque, lo scopo originale dei Dao Lu, è quello di  coinvolgere il soggetto in una pratica corporea esigente per ristabilire  l’essere nella sua interezza. Tale pratica coinvolge corpo e spirito,  tende allo sviluppo di una “consapevolezza” (cara a tutta la filosofia  cinese) che si accentua gradualmente a scapito del sé superficiale e  costituisce così, la via allo sviluppo del Qi, termine arcaico che nelle  arti marziali sta ad indicare la massima espressione di energia e  spirito. Plasmare gradualmente corpo e spirito, per sfociare, infine, in  pratiche più esigenti di Qi Gong, di assoluto interesse che ci  addentrano totalmente nelle risonanze più sottili dell’essere. Inoltre,  affermazioni di autorevoli maestri cinesi riguardo la possibilità di  rintracciare tuttora, nelle arti marziali giapponesi (che da quelle  cinesi derivano), l’autentico spirito di pratica del Kung Fu cinese, mi  ha spinto ad indagare in tale contesto, ove ho potuto rintracciare, al  di là delle differenze tecniche, quell’unione tra tecnica e spirito  tanto decantata da Bodhidharma, espressa da una gestualità intensamente  vissuta che marca chiaramente il senso della “Via”.

D’altronde nel contesto marziale  giapponese si rintracciano perle dei momenti più fulgidi della cultura  cinese. Il  pensiero del filosofo cinese neoconfuciano Wang Shou Ren (1472-1528)  influenzò moltissimo la formazione dei guerrieri giapponesi con principi  squisitamente zen, come l’intuizionismo e l’unità fra coscienza ed  azione. Famosi maestri di Wushu nel corso della storia si sono recati in  Giappone ad insegnare le arti marziali, trasmettendo anche modi  comportamentali significativi per il giusto atteggiamento dello spirito.  Questi aspetti mi hanno dato modo di accedere ad un rituale semplice  quanto profondo che condensa in una sacralità rigenerante il processo di  autotrasformazione messo in atto dalla pratica. Sono giunto quindi alla  conclusione che le scuole cinesi ritrovano in tale contesto, un livello  di “espressione essenziale” unita ad una forza persuasiva nel modo  d’insegnare, più vicina agli ideali arcaici del Wushu.

Quello che  cerco di fare è sforzarmi nella direzione di praticare e presentare al  meglio il Wushu cinese nella sua essenza, di liberarlo da quel senso di  teatralità e falsa immagine, a favore di un’identità più autentica. Con  questo obiettivo la mia ricerca non conosce barriere. Oltrepasso nomi e  categorie, attenendomi al più puro spirito filosofico cinese secondo il  quale le classificazioni, per quanto necessarie, non devono  imbrigliarci.

RAFFAELE BURGO