Trebisacce-30/04/2020: Rubrica letteraria a cura di Salvatore La Moglie

Salvatore La Moglie

Rubrica letteraria a cura di Salvatore La Moglie

Alle radici dei mali di oggi. La critica dei grandi scrittori alla civiltà Moderna. Il comunismo ha fallito e allora la “terza via” che ci potrebbe salvare è solo quella di un “capitalismo dal volto umano” fondato su un Nuovo Umanesimo che ci libera dai disastri della globalizzazione o sarà la fine.

Salvatore La Moglie

 

 

Volendo tentare un’analisi sull’attuale male universale rappresentato dal coronavirus mi pare inevitabile soffermare l’attenzione su ciò che da più di due secoli ha rappresentato, nel bene e nel male, l’avvento della Modernità e della civiltà industriale e capitalistica. Fenomeni distruttivi e disastrosi come quello del covi-19 possono anche avvenire per caso ma sono certamente favoriti dall’inquinamento atmosferico e, ad affermarlo, sono più di uno studio scientifico. La società capitalistica (che Marx definiva un immenso mostruoso ammasso di merci) è indecente e la società mondiale globalizzata sotto il segno del turbocapitalismo è ancora più indecente. Abbiamo superato il mostro del comunismo, adesso bisognerebbe superare definitivamente il mostro del capitalismo. Ci può essere una terza via? Già sessant’anni fa Bob Kennedy si poneva il problema: il capitalismo è buono, ma i capitalisti? E da noi, Adriano Olivetti, in sintonia col pensiero del lungimirante Kennedy, aveva cercato di realizzare una forma di capitalismo dal volto umano nella sua azienda, un capitalismo che al centro del discorso non avesse il profitto tout court ma l’uomo, i suoi bisogni e la sua dignità. Perché è indiscutibile che da oltre due secoli la civiltà industriale e capitalistica ha creato progresso e ricchezza ma anche tanta ingiustizia, tanto sfruttamento e tanta disuguaglianza da provocare la nascita di un’ideologia – il comunismo – che si proponeva la rivoluzione per abbatterla e creare una società socialista e poi comunista fondata su valori e ideali opposti e alternativi. Dopo il crollo dell’Impero sovietico il capitalismo della globalizzazione selvaggia ha mostrato il suo vero volto, ha tolto quella specie di maschera che si era messa per settanta anni e si è rivelato più arrogante, prepotente, anarchico, liberticida, guerrafondaio, sopraffattore; creatore di ricchezza per pochi e di miseria o di sopravvivenza per molti; antidemocratico e imperialista; privatizzatore antistatalista, regolatore e deregolatore allo stesso tempo; vera e propria associazione affaristica protetta dai governi, mai come oggi comitati d’affare del capitalismo, delle multinazionali e della borghesia finanziaria. E il grande male è che oggi questo mostro è più globale e globalizzato che mai. La società capitalistica è ingiusta, antiegualitaria e individualista persino nel gioco al lotto e nel gratta-e-vinci. Ad arricchirsi devono essere pochissimi, mentre tutti gli altri devono pagare per far arricchire quei pochissimi. Tra gli aspetti più evidentemente negativi della società capitalistica è che ci sono poche centinaia di miliardari, qualche migliaia di milionari, decine di milioni di stipendiati-sudditi che pagano le tasse e anche milioni di poveri; inoltre, il pane e la benzina viene pagata allo stesso prezzo dai miliardari e dagli stipendiati da fame.

La nostra società sembra ormai diventata la società del sisalvichipuò. Chi sta dentro se la cava, ma chi sta fuori è davvero ai margini. Oggi più che mai appare attuale – nel micro come nel macrocosmo – la teoria di Alberto Asor Rosa, formulata negli anni ’70, sulle due società: quella dei garantiti e quella dei non garantiti.

La società occidentale, negli ultimi decenni, ha creato la civiltà dell’ansia, della paura e dell’insicurezza. In verità questa già c’era tra fine ‘800 e primi decenni del ’900. Diciamo che il terzo millennio vede esasperati tutti i motivi e le cause che hanno generato questo tipo di civiltà, di fronte alla quale la ragione appare sempre più debole e abdicante ogni giorno che passa e di fronte alla quale l’uomo meno adatto, più psicologicamente debole cade nella nevrosi, come Zeno Cosini, il celebre personaggio di Svevo. Il moderno Attila è la borghesia capitalistica, industriale, tecnocratica che da due secoli, ormai, non fa crescere più l’erba dove passano le sue ruspe e non fa credere più a niente. La razionalità borghese e la razionalizzazione capitalistica della natura e della vita sono state sempre irrazionali, anarchiche, aggressive e distruttive. Oggi lo sono più di prima e, infatti, non vedo cosa vi sia di razionale e di buono nel fare le guerre e nel distruggere la natura, il clima e l’ambiente. Il capitalismo è veramente formidabile. È la più geniale forma di dittatura mai esistita, una particolare forma di totalitarismo occulto che riesce – con la maschera della pseudodemocrazia e della pseudolibertà – a raggiungere lo scopo principe di ogni Potere: ridurre l’uomo a puro oggetto, a un essere incapace di pensare e di volere con la propria testa, lo riduce a una dimensione (direbbe Marcuse), all’omologazione (direbbe Pasolini), cioè al più totale conformismo basato sul consumismo, privandolo della cosa più importante: la coscienza, l’anima. L’uomo post-moderno deve dire a se stesso: consumo, dunque sono e se non consumo muoio. E la società post-moderna vuole che lui consumi. Anche se stesso. Il capitalismo riesce laddove non riesce il peggiore dei totalitarismi. La globalizzazione non è altro che la dittatura del pensiero unico del turbocapitalismo, ammantata di pseudo-democrazia e pseudo-libertà. La globalizzazione è una forma di riorganizzazione, di rifondazione e, quindi, di sopravvivenza e di perpetuazione del capitalismo in quanto tende a creare nuove modalità di schiavitù umana proprio quando l’uomo sembrava andare verso una libertà più matura e concreta. Il movimento No global rappresenta la coscienza critica di un mondo ingiusto, pieno di contraddizioni e di incongruenze. Viviamo in un mondo che globalizza soltanto le più brutte cose: la guerra, la schiavitù, la morte, la povertà, la fame, l’emigrazione, la paura, l’insicurezza, il dolore… Perché, invece, non vengono globalizzate la pace, l’amore, la libertà, la giustizia, la felicità, la cultura, la solidarietà, il bene, il cibo per tutti?… Moriremo tutti globalizzati? Moriremo di capitalismo selvaggio e di globalizzazione neoliberista?… In verità, la critica alla civiltà moderna capitalistica e industriale è antica e, prima di Marx, la fecero Jean-jacques Rousseau (che esaltava il buon selvaggio che diventa cattivo non appena viene a contatto con la società borghese) e Leopardi (che ironizzava, fra l’altro, sulle magnifiche sorti e progressive della civiltà moderna). Più avanti, nell’Ottocento, grandi pagine su quello che era la società borghese industriale con tutti i suoi aspetti negativi, le scrissero Balzac e Dickens e da noi  Giovanni Verga che,  pur se positivista, non mostrò affatto di avere fiducia nel progresso, nella tecnica e anche nel futuro della società borghese e, anzi, si rivelò decisamente pessimista nei confronti della Modernità, facendone una critica spietata e corrosiva. In verità, Verga, dopo Rousseau e Leopardi, è il critico più feroce della Modernità deflagrata con la Rivoluzione Industriale che, soprattutto, nella seconda metà dell’Ottocento, si è ormai diffusa in tutto il mondo occidentale con tutti gli aspetti positivi e negativi e le conseguenze e gli effetti anche devastanti sulle vite degli uomini. Verga si avvede che il mondo moderno è hobbesianamente spietato ed è basato sulla legge del successo, del profitto, del denaro e dell’egoismo: ogni solidarietà tra gli esseri umani è negata e persino tra i poveri c’è, quasi sempre, una finta solidarietà. La parola amore, nella sua accezione più profonda, appare come cancellata dalla civiltà industriale e dai suoi pseudo-valori. Il padre di Gesualdo gli diceva spesso che: ognuno fa il proprio interesse e va per la sua strada e che così era stato, era e sarebbe sempre stato. È la legge fatalistica della vita che, pertanto, costringe alla conservazione e all’immobilismo sia sociale che politico. E se qualcuno pensa di tradire l’ideale dell’ostrica ecco che è destinato a sorte crudele, da vinto della vita. E che cos’è l’ideale dell’ostrica? È questo: come l’ostrica, resta saldamente attaccata allo scoglio per non lasciarsi travolgere dalla forza impetuosa del mare, così gli uomini debbono restare ben saldamente legati alle loro radici, al focolare domestico e ai valori tradizionali se non vogliono essere travolti dal mare terribile della vita. Ecco, i valori: è qui il vero nocciolo della critica di Verga alla Modernità. Perché? Ma perché il grande siciliano ha compreso appieno che la Modernità uccide i veri valori (famiglia, onestà, sincerità, unione e solidarietà tra consanguinei come tra estranei, ecc.) e li sostituisce con altri che non sono che falsi valori. Inoltre, a prevalere sono l’inautenticità della vita, la falsità e l’ipocrisia elevati a sistema. In mezzo a tutto questo dobbiamo considerare che l’influenza delle teorie di Darwin ha il suo peso: Verga vede bene che la vita è una lotta per l’esistenza e che il più debole, il meno adatto è destinato a soccombere, ad essere travolto. Siamo al darwinismo socio-economico e, anche per questo, Verga è fermamente convinto che i poveri e gli ultimi della società debbono accontentarsi della loro situazione e stare ben attaccati allo scoglio se non vogliono essere travolti in maniera definitiva. E, dunque, Verga era contro il progresso? A una lettura superficiale sembrerebbe  di sì mentre a una lettura più approfondita non è proprio così. Non è pensabile che Verga al treno possa preferire il mulo. Piuttosto, egli non amava un certo tipo di sviluppo, come dirà Pasolini quasi un secolo dopo. Il progresso è una cosa bella, il problema, però, è come viene gestito, quale direzione gli viene fatto prendere, quale tipo di sviluppo, insomma, ha questo progresso. A Verga (come poi a Pasolini) non piace il tipo di sviluppo con cui viene fatto procedere il progresso. Quel tipo di sviluppo causava danni all’ambiente e distruggeva la civiltà contadina con i suoi grandi e autentici valori, valori che Verga non intende veder perduti perché comprende bene che quelli imposti da quel tipo di sviluppo non sono positivi. Similmente sarà per Pasolini che, in un diverso e peggiorato contesto socio-economico-culturale, lamenterà la distruzione dell’ambiente e del paesaggio, la perdita di quegli stessi sani valori, dirà tutto il male possibile della televisione e del consumismo, visti come inedite forme di fascismo che hanno portato all’omologazione e alla mutazione antropologica degli italiani. L’eredità di Verga è enorme. Verga anticipa, fa intravedere la frantumazione dei grandi valori, degli ideali e delle certezze che sorreggono gli uomini. Gli è ben chiaro che la tecnica e la scienza hanno rotto l’incanto del racconto biblico provocando quello che Max Weber avrebbe definito il disincanto del mondo. L’ultimo suo erede è stato proprio il neorealista Pasolini che, sembra aver ripreso e continuato la critica e della contestazione verghiana della Modernità e di un certo tipo di sviluppo imposto dalle classi dominanti al progresso economico, sociale e culturale.  Quanto alla cultura del Decadentismo c’è da rilevare che gli autori decadenti si avvedono ben presto che la civiltà industriale, capitalistica, moderna ha fatto dell’uomo un corpo senz’anima, un guscio vuoto dominato dalla razionalità di un mondo ormai inquinato e corrotto, senza più grandi ideali per cui vivere e morire è, fatalmente, avviato verso la catastrofe, verso l’apocalisse. Non è un caso che Svevo scriverà, a conclusione della Coscienza di Zeno, che la vita attuale è inquinata alle radici e che l’unica salvezza potrebbe consistere in una megadeflagrazione dell’universo che lo riconduca ai primordi per un nuovo probabile (?…) inizio, con una nuova umanità un po’ meno malata e un po’ più sana. Ma Svevo sa che questa è una provocazione letteraria dettata dalla disperazione e dalla assurdità della vita. Come sa, pure, che Freud (che aveva parlato di disagio della civiltà) è un grand’uomo ma la sua psicanalisi non guarisce e non salva. La salvezza, semmai, può venire solo dalla penna: la scrittura è terapeutica e solo attraverso lo scrivere possiamo dire la nostra verità e rappresentare, anche se in modo parziale, il mondo e la realtà. Zeno Cosini, come tanti suoi affini letterari, simboleggia lo stato d’animo decadente di fronte alla realtà del mondo moderno, contro la quale Munch ha lanciato il suo disperato urlo. La verità è che per la salvezza occorrerebbe una svolta a 360 gradi. Occorrerebbe un Nuovo Illuminismo basato su un Nuovo Umanesimo che ripensasse il Mondo in maniera davvero razionale e avendo sempre come punto di riferimento l’uomo e il suo bisogno-diritto di abitare una terra e un ambiente vivibili, a dimensione, appunto, umana e non disumana come oggi. Occorre uscire dalla logica del superprofitto e della sopraffazione se vogliamo che non vi siano più: aids, mucca pazza, pazzia della guerra, sars, influenza suina, surriscaldamento del pianeta, inquinamenti, avvelenamenti e distruzioni globali di vario genere e, oggi, la micidiale pandemia del coronavirus. Occorre uscire dalla pseudo-razionalità borghese-capitalistica e multi-capitalistica globalizzante e globalizzatrice e instaurare una nuova, vera Razionalità Neoumanistica che pensi alla Natura e all’Uomo se vogliamo che la Natura e l’Uomo abbiano un futuro. La razionalizzazione borghese-capitalistica della natura e del mondo è la forma più brutale di antiumanesimo. Mai come oggi, di fronte a un capitalismo selvaggio di livello globale si impone il problema di un Nuovo Umanesimo, di una svolta radicale, di una Rivoluzione mondiale che cambi la faccia della Terra e umanizzi un mondo ormai verso la più totale disumanizzazione e il più medievale imbarbarimento. Occorre salvare il mondo dai disastri causati dalla brama di denaro e di potere. Occorre salvare il mondo dalla stupidità e dalla cecità dei potenti della terra. Il covid-19 ha portato via anche un grande poeta e scrittore, Luis Sépulveda, un combattente che sognava un mondo migliore, diverso da quello malato e inquinato in cui viviamo e nel quale i virus più letali e malefici trovano il loro brodo di coltura, il loro humus. Con le calzanti parole di Sépulveda vorrei concludere questo schematico tentativo di analisi dei mali che ci affliggono: Le mie storie sono scritte da un uomo che sogna un mondo migliore, più giusto, più pulito e generoso. (…) Sogniamo che un altro mondo è possibile e realizzeremo quest’altro mondo possibile. Solo sognando e restando fedeli ai sogni riusciremo a essere migliori e, se noi saremo migliori, sarà migliore il mondo.