Trebisacce-16/11/2020: Rubrica letteraria a cura di Salvatore La Moglie /Un racconto inedito di Salvatore La Moglie

Salvatore La Moglie

Rubrica letteraria a cura di Salvatore La Moglie

Un racconto inedito di Salvatore La Moglie

Per gentile concessione dell’autore, proponiamo ai lettori de La Palestra il fantaracconto inedito di Salvatore La Moglie Un giorno al mercato di Sybaris (ovvero come parlare dei temi di oggi collocandoli in un passato molto lontano).

Buona lettura.

La Redazione de La Palestra

 Appena arrivati affidarono la loro biga al parcheggiatore abusivo che tutti i giovedì del mese aspettava i suoi clienti per fare un po’ di denari. I due vecchi amici – ma non erano poi così vecchi… – si erano recati al grande mercato multietnico di Sybaris più per passare un po’ di tempo e per studiare la gente che per fare compere. Loro due – Orfeo e Febo – non amavano molto il consumismo che si era così diffuso nella metropoli, soprattutto negli ultimi venti-trenta anni. La globalizzazione dell’economia, che i grandi traffici commerciali tra le potenze dell’Oriente e dell’Occidente avevano imposto al mondo sviluppato, aveva comportato maggiore ricchezza per i pesci grossi ma tanta povertà e schiavitù per quelli piccoli. Da quando, poi, era stata introdotta la nuova moneta – il magnogreco – le cose per il ceto medio erano peggiorate: alla terza settimana del mese rimanevano senza un magnogreco e finivano per chiedere prestiti alle banche o a usurai privati. Insegnanti, impiegati della polis e salariati si erano impoveriti; i poveri erano diventati ancora più poveri e i ricchi, invece, sempre più ricchi.  Orfeo e Febo erano molto preoccupati perché in tutto questo scorgevano segni di declino economico e di decadenza morale e, poi, a minacciare la grandezza e la sopravvivenza stessa di Sybaris erano i venti di guerra che soffiavano dalla potente Crotone, che vedeva di cattivo occhio lo splendore della metropoli sybaritica e la sua grande influenza sulle città ad essa vicine.

    I due amici – che trascorrevano gran parte del loro tempo nella loro comune ricca biblioteca – avevano iniziato, da qualche mese, a scrivere un libro proprio su Sybaris, la sua nascita, il suo progresso e il suo straordinario sviluppo. Nell’ultimo capitolo l’argomento sarebbe stato il seguente: Sybaris: progresso inarrestabile o possibile fine di un mito?

    Al mercato – quel giorno – ne videro e sentirono di tutti i colori. Di gente ce n’era tantissima, ricchi e meno ricchi, poveri e impoveriti; tanti anche i mercanti giunti da ogni parte. Ciascun mercante urlava per pubblicizzare il proprio prodotto e cercare di venderne quanto  più possibile.

    «Olio! Olio della piana di Sybaris! Comprate, signori, il buon olio della piana di Sybaris a soli cinque magnogreci al litro! Comprate, signori!…».

    Orfeo e Febo si guardarono negli occhi. Orfeo disse:   «Ma non costava la metà, quando c’era lo statere?».

    «Sì, caro Orfeo, costava la metà. Ma se i censori fiscali di Sybaris non hanno fatto alcun controllo quando c’è stato il cambio della moneta, è chiaro che ora tutto costa il doppio e, qualche volta, anche il triplo…».

    «E poi per forza la gente non ce la fa ad arrivare alla fine del mese…», ribattè Orfeo.

    «Alla fine della terza settimana, caro Febo, alla fine della terza settimana!…», replicò Orfeo scuotendo la testa più volte.

    «Noi certe cose dobbiamo dirle a chiare lettere nel nostro saggio. Dobbiamo denunciarle senza timore di colpire qualche potente di turno e farle conoscere ai sybariti come abbiamo fatto quando quasi vent’anni fa è scoppiato il caso sybaropolis», disse Febo.

    «Certo, caro Febo, certo. L’oligarchia aristocratica che governa Sybaris si è corrotta e nella sua corruzione si sente anche onnipotente e intoccabile, mentre fuori dalle stanze del potere la gente sta male e tira a campare».

    Mentre Orfeo diceva queste cose un po’ camminando e un po’ fermandosi presso i mercanti che man mano incontravano, si sentivano urla da ogni dove in un ottimo greco:

    «Mandorle! Mandorle! Comprate le mandorle di Lagaria! Costano poco, signore e signori: solo tre magnogreci al chilo…»… «Vino! Vino rosso di Pandosia! Comprate! Comprate! A soli due magnogreci al litro!…»…. «Grano! Grano per la farina! Il buon grano di Posidonia! Solo un magnogreco e mezzo al chilo!…»… «Uva! Uva! Comprate la dolcissima uva di Roma! Un magnogreco al chilo!…»… «Datteri! Datteri! Signori, i buoni datteri di Cartagine! A due magnogreci e mezzo al chilo! Comprate!…»… «Olive! Olive grosse dell’Etruria! Le gustose olive bianche dell’Etruria, signori! A soli tre magnogreci al chilo! Chi ne compra quattro chili paga solo dieci magnogreci…»… «Formaggi! Formaggi dell’Achaia! Sentite che buon profumo, assaggiatene un po’!… A soli quindici magnogreci al pezzo! Oggi mi voglio rovinare!…»… «Tappeti! Tappeti persiani! Non vi fanno volare, ma vi fanno sognare! Comprate i famosi tappeti persiani, signori! Ho fatto tanti chilometri, signori di Sybaris, per venire qui a portarvi questi meravigliosi tappeti. Voi che siete così raffinati, eleganti e amanti del lusso e della bella vita, non rinunciate a un bel tappeto, come questo che ho in mano, per la vostra casa. Un’occasione come questa non vi capita tutti i giorni! Che aspettate? Comprate, comprate i tappeti persiani! Guardate come sono belli, bellissime signore!…».

    «Ehi, amico», gli disse Febo, «quanto costa questo tappeto?».

    «Solo duecento magnogreci! Vuoi comprare, amico?», rispose il marocchino in buon greco.

    «Amico? E da quando?», disse sorridendo Febo. Orfeo si mise a ridere.

    «Amico… parente… Che importa?…», ribattè pronto il marocchino.

    «Allora?», domandò Febo.

    «Allora… Io te l’ho detto: duecento e l’affare è fatto…», rispose con calma serafica il marocchino.

    «No, no! Io intendo dire l’ultimo prezzo», ribattè Febo.

    «Questo è l’ultimo prezzo, amico: duecento», disse il marocchino.

    «E allora te lo tieni il tuo tappeto!», replicò Febo alquanto nervoso. Subito dopo aggiunse: «Questo tappeto, poco tempo fa, costava appena cento stateri, hai capito? E ora tu vuoi vendermelo per il doppio?…».

    «Tutto è aumentato, amico. Non è colpa mia…», ribattè il marocchino.

    «Hai ragione, non è colpa tua», gli disse Febo ritornato calmo. Quindi aggiunge: «Ma ora anche voi marocchini avete capito come vanno le cose…».

    Più avanti sentirono altre urla: «Coltelli, forbici, asce, spade di Bisanzio! Comprate le lame taglienti di Bisanzio!» urlava il bizantino in ottimo greco. «Comprate! Comprate! Un’ascia a soli dieci magnogreci, una spada a trenta, un coltello a cinque, un paio di forbici a quattro!…»… «Vestiti! Vestiti! I più bei vestiti per i lussuosi sybariti! Comprate! Comprate! Avvicinatevi gentili signori di Sybaris. Guardate che bei vestiti! Signora questo è fatto proprio per te! Non rinunciate ai bei vestiti di Metapontium!…»… «Verdura! Frutta! Verdura fresca! Pere! Mele! Comprate la frutta e la verdura di Crotone!…»…

 «Mai e poi mai!» esclamò Orfeo con tono indignato e aggiunse: «Dai crotoniati neppure l’acqua per bere comprerei! Piuttosto morirei di sete!…».

    «Sì, caro Orfeo. Dal nemico neppure l’acqua! È vero», aggiunse, «che lui è solo un uomo e non è il tiranno di Crotone, ma sempre crotoniate è!…».

    «Pesce! Pesce salato di Taras! Fatevi la provvista di pesce salato di Taras! Un vaso di pesci a soli venti magnogreci! Comprate signori…», urlava il pescivendolo che era giunto dalla potente città di Taras… «Ceramiche! Ceramiche! Comprate la splendida ceramica di Atene! Comprate i vasi, i vassoi e le anfore di Atene! Costano poco, amici di Sybaris! Un’anfora a soli dodici magnogreci! Comprate, è un’ occasione unica!…»… «Scudi! Scudi da guerra! Comprate gli scudi di Sparta! Uno scudo a soli cento magnogreci, gentili signori!…»…

    Il mercato di Sybaris era immenso ed era talmente tanta la gente che a fatica si riusciva a camminare  e bisognava anche far molta attenzione alle proprie tasche, perché, nella confusione, c’era sempre qualche ladruncolo extrasybaritico che poteva abilmente allungare le mani e farti ritornare a casa senza un magnogreco. Era quello che stava capitando ad Orfeo se Febo non si fosse accorto in tempo che un giovane immigrato, proveniente probabilmente da uno dei paesi orientali dove il regime dei tiranni era crollato, se non si fosse – dicevo – accorto in tempo che stava per infilare la sua leggera manina nella tasca sinistra dell’amico.

    «Attento, Orfeo!», gli sussurrò Febo. «Metti subito la mano nella tasca del vestito».

    «Perché?», gli chiese Orfeo.

    « Fa’ quello che ti dico. Poi ti spiegherò».

    Mentre Orfeo stava per infilare la mano in tasca, avvertì che quella di un altro stava facendo la stessa cosa. Si voltò di scatto e si trovò di fronte un ragazzo di forse sedici anni e dal volto rossiccio, con zigomi prominenti e dai capelli biondi.

    «Ah malandrino!», gli disse afferrandolo per un braccio. «Volevi derubarmi!?».

    «No, signore. Io solo tanta fame. Io no denaro…», replicò il povero e spaventato ragazzo in un greco appena comprensibile, di chi nella metropoli era giunto da poco in cerca di fortuna.

    «Ora ti faccio vedere io! Ti porto negli uffici della polis, ti porto. Così impari a rubare!…».

    «Prego, signore», ribattè il ragazzo sempre più spaventato. «Io pregare te… Non portare me dalla polis…Tu perdonare… Io solo fame… Non volevo rubare te…».

    «Senti», disse Febo rivolgendosi all’amico.   «Lascialo stare, è un povero diavolo. Anche se lo portassimo dal capo dell’ufficio della polis non gli darebbe neppure un giorno di carcere, primo perché è un minorenne e secondo perché è un povero disgraziato».

    «Hai ragione Febo», replicò Orfeo ritornato un po’ più calmo. «Però», aggiunse subito dopo,  «così non si può andare avanti. Dappertutto incontri extrasybariti che chiedono l’elemosina, che, per strada, alle fermate, vogliono pulirti la biga anche se la trovano pulitissima. Vedrai, al ritorno troveremo uno di questi con vaso di terracotta e straccio alla mano che vuole lavare a tutti i costi la biga e anche il cavallo…».

    «E’ vero…Quello che dici è vero, ma cosa ci possiamo fare se Sybaris è diventata una metropoli multietnica? E poi, bisogna dire che non tutti gli extrasybariti rubano o chiedono l’elemosina o ti infastidiscono lavando la biga anche quando gli dici che non ce n’è bisogno… Ci sono anche – e sono la maggioranza, per fortuna… – quelli che lavorano onestamente e fanno lavori che ormai i sybariti non vogliono più fare perché li ritengono umilianti e poco decorosi per un sybarita. E bisogna dire anche che questi extrasybariti creano ricchezza, una ricchezza che, per esempio, Crotone ci invidia tanto che vorrebbe distruggerci. E forse un giorno lo farà, quando meno ce l’aspettiamo…».

    «Tu dici bene, Febo», replicò Orfeo, «però la gente si sente insicura sia nelle case che nelle strade e vorrebbe più rigore dalle leggi della polis, che sembra sempre più impotente a gestire il fenomeno dell’immigrazione… Io adesso», aggiunse, «questo ragazzo lo lascio andare… Magari è pure senza permesso di soggiorno nella polis e finirei per rovinarlo…».

    «Diamogli la possibilità di trovare un lavoro, di guardarsi attorno…Magari potrà essere, un giorno, un buon cittadino della polis…», ribattè Febo.

    «Senti», disse Orfeo rivolto al giovane, che ora era meno spaventato e che durante il dialogo tra i due amici era rimasto con la testa piegata per la vergogna,   «senti, io ti lascio andare» e mentre pronunciava queste parole staccò le mani dal braccio del ragazzo. Quindi, continuò: «Mi prometti, però, che – per il tuo bene – non proverai più a rubare e che, invece, proverai a cercare un lavoro onesto che ti permetterà da vivere dignitosamente? Me lo prometti?».

    «Sì, signore. Io prometto. Tu essere buono e io dico grazie. Io volere trovare lavoro subito…», rispose il ragazzo e si vedeva che era sincero e che, in fondo, era solo un povero diavolo venuto a Sybaris per sfuggire alla fame.

    «Vai ragazzo, e buona fortuna!», gli disse Orfeo. Poi, una volta soli, disse all’amico: «Che mondo, caro Febo! Chi è tanto ricco e chi è costretto a rubare per mangiare qualcosa!…».

    «E’ stato sempre così e così continuerà ad essere su questo vecchio e bastardo mondo che ad alcuni dà tanto e ad altri neppure le briciole…», ribattè Febo scuotendo più volte la testa.

    Più avanti le loro orecchie sentirono urla un po’ particolari. O meglio, ad essere particolare era la merce che si vendeva…

    «schiavi! Schiavi! Vendo schiavi! Guardate, signori, che bella schiava! Giovane e bella! E questo schiavo? Guardate questo schiavo: è giovane è forte! Comprate i vostri schiavi, signori, comprate!…», urlava in ottimo greco il venditore slavo indicando la merce.

    Lo slavo possedeva schiavi di tutti i colori. Tra le donne ve n’erano alcune davvero molto belle. Parecchie di esse erano bianche. In tutto, una cinquantina di schiavi.

    «Da dove vengono quelle?», gli domandò Febo, indicando le donne bianche.

    «Dai paesi dove la tirannia è crollata», rispose lo slavo e subito dopo aggiunse: «Sono belle, eh!  Perché non ne compri una? Queste le puoi usare come vuoi tu…».

    Febo era disgustato. Le parole dello slavo gli facevano ribrezzo. Non era la prima volta che vedeva uomini e donne venduti come bestie, anzi come una merce qualsiasi e sapeva benissimo – insieme al suo amico Orfeo – che il mondo era pieno di venditori di merce umana e che gli Stati e i Paesi più potenti e anche più civili si reggevano anche grazie al commercio di essere umani. Su questo argomento così disgustoso ed esecrabile, i due amici avevano scritto, di recente, un libro-inchiesta che, praticamente, ribaltava certe teorie sulla schiavitù, soprattutto quella formulata da certi pensatori secondo i quali la schiavitù è qualcosa di naturale e di necessario e che su questa terra è stato sempre così e pertanto bisogna rassegnarsi a vedere per strada schiavi e schiavisti, venditori e venduti. Il libro era andato a ruba, un vero e proprio best-seller di fine sesto secolo. Poi, però, le cose erano rimaste come prima. I capi della polis avevano lasciato circolare liberamente il testo, anche perché sapevano che Sybaris era una grande polis dove ci si indignava per un po’ di tempo, si dimenticava presto e poi ritornava tutto come prima e anzi più di prima.

    Febo e Orfeo continuavano a guardare con disgusto il venditore di schiavi. A un certo punto Orfeo gli chiese:     «Dove li hai comprati? ».

   «Un po’ dappertutto. Nella Fenicia, a Cartagine, in Egitto e soprattutto nei paesi dove la tirannia è crollata. In questi paesi è diventato molto facile vendere e comprare uomini. La gente è povera e si fa acquistare per niente dal migliore offerente. E’ così, amico. E’ stato sempre così… E allora», disse infine lo slavo, «le volete due belle schiave?».

    Febo e Orfeo si guardarono e finsero di stare al gioco. «Quanto costa quella», domandò Febo indicando una schiava bellissima dai capelli rossi.

    «Vedo che hai buon occhio, amico», disse lo slavo sorridendo maliziosamente. Quindi aggiunse: «Dammi cinquecento magnogreci ed è tua».

    «Tanto vale un essere umano!…», sussurrò malinconicamente Febo all’orecchio di Orfeo.

    «E’ qualcosa di veramente disgustoso… Ci vorrebbe il cappio alla gola per individui come questi!… », sussurrò a sua volta Orfeo.

    «Sì, ci vorrebbe una bella corda…», replicò Febo quasi tra i denti.

    «E allora, amico! Hai deciso? Ti sembra molto cinquecento magnogreci? Se te la prendi ti faccio uno sconticino. Oggi sono generoso, e poi voglio alleggerirmi un po’… Ho bisogno di smerciare perché domani me ne arrivano altri dai paesi dove non c’è più la tirannia ma la libertà», disse lo slavo con fare sbrigativo, di chi vuol concludere l’affare.

    «Ascolta», replicò Febo, «è talmente disgustoso il tuo… il tuo mestiere che mi domando come fai la notte a prendere sonno…».

    «Ehi, amico,», ribattè pronto lo slavo, «tu non vuoi comprare, e allora non è successo niente. Tu va’ per la tua strada, che io resto sulla mia. Così va il mondo, addio sybarita!…».

    «Se potessi farle io le leggi,», replicò Febo con agitazione e con rabbia, «gente come te non ci sarebbe sulla faccia della terra. Devi ringraziare Zeus che il tuo è un mestiere», aggiunse sottolineando questa parola con il tono della voce, « ammesso dalle leggi della polis. Ma, per Zeus, se fosse per me, ti chiuderei in carcere e butterei la chiave…».

    «Ma, grazie a Zeus,» ribattè con pronta ironia lo slavo, «le leggi sono dalla mia parte. Tutto è regolare, amico. Tutto è legale, e quindi… e quindi sprechi il tuo fiato».

    Febo era su tutte le furie: il cinismo e l’arroganza dello slavo lo avevano fatto diventare di mille colori.  «Io!.. Io!…», esclamò con un nervoso gesto della mano destra. In quel momento Orfeo prese l’amico per il braccio sinistro e gli sussurrò: «Febo, amico mio, lascia perdere. Tu sei un uomo saggio. Lo sai benissimo che il suo è un commercio praticamente legalizzato. Il buon Zeus può essere dalla nostra parte, ma non le leggi della polis. Andiamo via prima che costui si appelli alle leggi e faccia finire noi in una cella…».

    «Sì, caro Orfeo», replicò Febo ritornato calmo. Quindi aggiunse: «Sì, Orfeo, andiamo via. Ritorniamo a casa. Per oggi può bastare, ne abbiamo viste fin troppe… Nella nostra biblioteca rifletteremo e scriveremo ancora sulle tante cose che non vanno nella nostra polis e su questo mondo, dove non è giusto, però, che vadano sempre così…».

    «Così  alla rovescia…», concluse Orfeo riprendendo la via del ritorno.

    «E non saremo certo noi a raddrizzarle… Sybaris potrebbe finire anche fra cento anni : quelli che verrebbero dopo di noi non sarebbero probabilmente migliori, anzi…», replicò Febo e subito dopo, facendo un gesto della mano destra, aggiunse: «Ecco, guarda chi c’è! Il vecchio Callia, l’indovino. Chiediamogli cosa vede nel futuro di Sybaris. Nelle sue predizioni non si è mai sbagliato».

    «Ehi, buon Callia, come stai?», disse rivolgendosi all’indovino.

    «Io bene, è Sybaris che starà molto male», rispose Callia con tono grave e malinconico.

    «Cosa dici, buon Callia?», rispose Orfeo, «Perché parli così? Cosa vedi nel futuro di Sybaris?».

    «Sybaris non avrà un lungo futuro, amici miei. Sybaris finirà domani, la notte calerà su di lei per sempre e il tempo la seppellirà», ribattè il vecchio Callia.

    I due amici erano rimasti attoniti, senza parole. Poi Febo disse: «Buon Callia, perché dici parole così terribili? Cosa ti fa pensare a questo triste presagio? Cosa potrebbe distruggere Sybaris? Un terremoto? Una pestilenza? O cos’altro? ».

    «Nulla di tutto questo. Nulla di tutto questo», ripeté l’indovino.

    «E allora cosa?», domandò Orfeo.

    «La cattiveria degli uomini. La loro stupidità. La loro prepotenza. La loro sete di potere e di vendetta. La loro ambizione. Domani Sybaris», concluse tristemente Callia, «sarà distrutta da Crotone e di questo mercato troveranno forse qualche traccia i nostri posteri. Fra mille, duemila anni o anche di più scaveranno e troveranno qualche brandello di muro… Addio, cari amici, e pensate a mettervi in salvo, se potete…».

    «A domani, buon Callia», disse Febo.

    «A domani», disse Orfeo.

    «A domani, forse, ma non a dopodomani… Addio!», rispose il vecchio Callia.