Trebisacce-02/05/2021: SEMPER AMOR OMNIA VINCIT DUE STORIE D’AMORE di Pino Cozzo

Cozzo Pino

 

 

 

 

SEMPER AMOR OMNIA VINCIT

DUE STORIE D’AMORE

di Pino Cozzo

 

ROMEO AND JULIET – GIULIETTA E ROMEO

 

E’ il racconto e la tragedia dell’amore giovane, passionale, avvertito e voluto. Per Giulietta, giovane fanciulla, il cui amore è avversato dai genitori, dalla famiglia, persino dalla nutrice, e da una faida interna, la liberazione arriva col primo amore e col primo bacio, che viene incastonato sulle labbra di Romeo, il suo ardente amato. L’intreccio dell’opera si snoda con un meccanismo di capovolgimenti e colpi di scena che portano alla tragica conclusione del racconto. Nel disperato e sventurato epilogo, i due giovani amanti sono vittime, non già del destino, ma di chi dovrebbe essere più anziano e saggio. Vi si potrebbe notare un elemento catartico, che fa avvertire la sensazione che i due giovani, non potendo dare sfogo alla loro unione in vita e sulla terra, vogliano arrivarci con la morte, e che la loro siffatta passione, sensuale e profonda, sia un’elevata offerta di valori più eccelsa di quella raggiunta e proposta nei freddi e brutali rapporti instaurati nella società in cui vivono. Dirà Romeo: ”Se devo credere alla verità adulatrice del sonno, i miei sogni mi hanno fatto presagire qualche lieta novella. Chi è padrone del mio cuore siede gaio sul suo trono, mentre per me una forza insolita mi eleva al di sopra della terra con lieti pensieri. Ho sognato che la mia donna, nel venire, mi trovasse morto, e suscitava sulle mie labbra un tale vigore di vita da ridarmi nuova energia, e mi sentissi padrone del mondo. Ahi, quanta dolcezza si trova nell’amore, se solo le sue ombre sono piene di felicità”.  Ed ecco ancora alcune struggenti parole di Romeo: “L’uomo  vive nell’agonia, e chi è sveglio chiama lampo della morte quel momento. Io però non mi troverò in quella condizione, poiché la morte che ha già preso il miele dal tuo respiro, non ha però potuto agire sulla tua bellezza, che ancora aleggia sul tuo viso e sulle tue labbra, e il vessillo della morte non sarà issato su di te. O diletta Giulietta, perché ti vedo ancora bella? Forse, il terribile mostro ti tiene nella sua ombra come un’amante? Poiché questa è la mia paura, resterò per sempre con te, al chiuso della profonda notte, e avrò riposo eterno. Guardatela, occhi, un’ultima volta, stringetela, braccia, in un ultimo saluto, suggellate, o labbra, un ultimo bacio, per firmare un patto eterno che si porta via ogni cosa. Nocchiero spaventato, spingi la tua barca sugli scogli. Io vengo a te, o mia amata, io muoio con te. Anche la tomba può essere un luogo di festa e un giardino di luce”. Romeo dirà ancora che chi non ha mai avuto una ferita, ride di chi ne porta i segni, non già quelle fisiche e visibili, ma quelle d’animo, d’amore ed invisibili, che sono ancora più dolorose. Ed aggiunge: “Laggiù c’è l’oriente e Giulietta è il sole. Alzati, o vivo astro, e spegni la fioca luna, pallida di pena e di invidia per te che sei più bella di lei. E se davvero gli occhi di Giulietta fossero nel cielo e le stelle sul suo viso? Lo splendore del suo volto farebbe impallidire le stelle, come la luce del giorno la fiamma di una torcia. E con i suoi occhi nell’aria, ci sarebbe tanta luce, che gli uccelli comincerebbero a cantare, pensando che fosse giorno. Vorrei essere il guanto della mano che passa sul suo viso”. Ma anche Giulietta non si sottrae ad esprimere parole d’amore nei confronti di Romeo, quando dice:” Tu mi ami? Se mi dirai di sì, io ti crederò, ma nel giuramento, può esserci inganno. Il mio amore è troppo forte, e tu mi potresti considerare leggera, ma ti assicuro che sono più sincera di tante donne che conoscono l’astuzia di apparire timide, senza che questo mio abbandono, che l’ombra della notte ha rivelato, non sia attribuito a leggerezza”. Ed ancora: ”I messaggeri d’amore sono i pensieri che corrono più veloce dei raggi di sole quando allontanano le ombre dai monti. Perciò, le colombe dalle ali veloci portano Amore, e per questo Cupido, veloce, ha le ali. Le mie parole volerebbero verso il mio dolce amore e quelle di Romeo verso di me, il mio sincero amore è cresciuto così tanto, che io non posso calcolare nemmeno la metà della mia ricchezza”.

 

PAOLO E FRANCESCA

Francesca da Polenta, bellissima e di animo altero, educata alla cortesia ed alle regole del gentil parlare, era figlia di Guido Minore Signore di Ravenna e Cervia. A Ravenna, viveva la sua fanciullezza spensierata e in attesa che il padre, Guido da Polenta, le trovasse uno sposo gradevole e gentile, decise di concedere la mano di sua figlia a Giovanni Malatesta (detto Giangiotto– Giovanni zoppo), figlio del potente signore di Rimini, che lo aveva aiutato a cacciare i Traversari, suoi nemici. Infatti, fu fatto credere alla bella Francesca di sposare l’affascinante Paolo detto Il Bello, fratello di Gianciotto, che, recatosi a Ravenna munito di speciale procura, si unì a lei a nozze. Francesca pronunciò felice il suo “sì” senza sapere che Paolo la sposava per procura ossia a nome e per conto del fratello Giangiotto. Successivamente, si accorse dell’inganno e di aver preso in sposo Gianciotto, anziché Paolo.  Ma l’amore tra i due era ormai sbocciato. E così Francesca cadde in un grande sconforto che crebbe giorno dopo giorno finché non trovò conforto tra le braccia di Paolo, colui che aveva amato dal primo momento. Dante li colloca nel girone dei peccatori carnali, dove i lussuriosi morti per amore vengono sbattuti e scaraventati per aria in un tempestoso vortice di vento incessante. Paolo e Francesca, che neppure nella morte riescono a staccarsi l’uno dall’altro. Due peccatori riconosciuti, la cui tragica storia doveva essere stata sulla bocca di tutti, e i cui dettagli probabilmente Dante aveva appreso da Bernardino da Polenta, fratello maggiore di Francesca. Dante dunque non esita a collocarli all’Inferno, ma ugualmente la infelice coppia muove in lui un sentimento di commozione e immedesimazione. Simbolo insieme di amore e di sfida, di passione e di peccato, Paolo e Francesca rappresentano con efficacia i due poli del conflitto interno all’amor cortese, quello tra la tensione nobilitante e la tensione distruttiva della stessa passione amorosa. E’ infatti viva la contrapposizione tra la concezione che edifica, la donna vista come strumento di elevazione a Dio, bellezza mistica da contemplare e ammirare, e quella propria della nascente tradizione cortese, dove i sensi trionfano sull’intelletto. Già, perché se l’amore è quel sentimento che lega irresistibilmente ed indissolubilmente una persona, nell’anima e nel corpo, ad un’altra, al quale spesso è impossibile sottrarsi; se l’amore, nella sua sacralità, riempie ogni rapporto e lo rende stabile e ineludibile, sotto il dominio della sua forza; se l’amore, quasi sempre, esclude ogni possibilità di libertà e di scelta, questo si compie in chi docilmente si lascia coinvolgere. La sacralità dei fili del sentimento nel rapporto d’amore, che si piega alle leggi della natura, e lo rende un’irripetibile emozione individuale, quella reciproca intesa metafisica, a volte idilliaca, a volte più terrena, gioiosa e triste, quel fremito che trascende i confini dell’immanente, anche se ad esso rimane avvinto, trovano ovvia sintesi in un esito fatto di impegno e scelte. L’amore lieto, sincero, genuino, che prevarica la condizione di precarietà, un amore fondato sulla roccia dell’incrollabilità, un amore cieco ed abbagliante, chiuso nell’orbita della certezza, per apprezzare la felicità di un’unione intensa e vibrante, sempre teso alla sacralità dell’amore. D’altronde, chi non ama sé stesso, non può amare gli altri, non ne può conoscere la vibrante scossa, non può attingerne in profondità la linfa vitale.