Trebisacce-12/03/2023: DANTE E IL CANTO V DELL’INFERNO: NESSUN UOMO E’ UN’ISOLA (JOHN DONNE) di Pino Cozzo

 

didone ed enea

DANTE E IL CANTO V DELL’INFERNO:

NESSUN UOMO E’ UN’ISOLA (JOHN DONNE)

di Pino Cozzo

Nessun uomo è un’isola, completo in sé stesso; ogni uomo è un pezzo del continente, una parte del tutto. Se anche solo una zolla venisse lavata via dal mare, l’Europa ne sarebbe diminuita, come se le mancasse un promontorio, come se venisse a mancare una dimora di amici tuoi, o la tua stessa casa. La morte di qualsiasi uomo mi sminuisce, perché io sono parte dell’umanità. E dunque non chiedere mai per chi suona la campana: suona per te. Quante volte ci è successo di sentirci completamente soli, abbandonati nel mare della vita, staccati dalle persone che ci circondano, incapaci di cogliere il senso della nostra esistenza. Per descrivere questa sensazione, John Donne si avvale di un’immagine molto efficace, una metafora che, per la sua forza rappresentativa, si è scolpita nell’immaginario comune: la visione di un’isola in mezzo al mare. Un’isola che, per sua stessa natura, è destinata a rimanere sola come una monade, scollegata dal resto del mondo. Ma è qui che il poeta ci spalanca un’altra visione, altrettanto suggestiva: “Ogni uomo è un pezzo del continente, una parte del tutto”. Questi versi ci invitano a cogliere la nostra vita come parte di una dimensione più grande, a cui apparteniamo e di cui possiamo percepire le connessioni vibranti. Quello di John Donne è un invito a sentirci parte del tutto, ma anche a essere empatici, a sentire il dolore dei nostri “fratelli” come parte della nostra stessa sofferenza. 

DIDONE E ULISSE – FRANCESCA E PAOLO

L’amore tra Enea e Didone è considerato un amore ingiusto, un amore crudele e un amore che consuma l’anima senza lasciare pietà. Enea è il figlio della dea Venere e l’umano Anchise. Dopo la guerra di Troia, Enea, avrebbe seguito tanti destini, fino a fondare la sua stirpe in Italia. Didone era una bellissima principessa, figlia del re Belò e moglie di Sichèo. Rimasta vedova, incontra Enea ed i due si innamorano, una passione travolgente che segnerà le loro vite. Enea racconta con viva partecipazione le proprie pene e accresce l’amore nel cuore della regina Didone, già ferita da Cupido sotto le spoglie di Ascanio. Di fronte a Didone il personaggio di Enea sembra quasi annullarsi, egli appare incapace di prendere decisioni autonome e di provare sentimenti forti e personali, come quelli che invece prova e manifesta Didone. Enea non è altro che uno strumento del Fato, appartiene cioè ad una volontà molto più grande e forte di lui a fronte della quale non può opporre resistenza. Purtroppo, il re dell’Olimpo, attraverso Mercurio, chiama Enea e gli ordina una nuova partenza. Didone viene travolta da un profondo dolore, e, mentre osserva le navi troiane che, salpate, si allontanano da Cartagine, e mentre la fiamma divampa, si trafigge il cuore.

Simbolo insieme di amore e di sfida, di passione e di peccato, Paolo e Francesca rappresentano con efficacia i due poli del conflitto interno all’amor cortese, quello tra la tensione nobilitante e la tensione distruttiva della stessa passione amorosa. E’ infatti viva la contrapposizione tra la concezione che edifica, la donna vista come strumento di elevazione a Dio, bellezza mistica da contemplare e ammirare, e quella propria della nascente tradizione cortese, dove i sensi trionfano sull’intelletto. Già, perché se l’amore è quel sentimento che lega irresistibilmente ed indissolubilmente una persona, nell’anima e nel corpo, ad un’altra, al quale spesso è impossibile sottrarsi; se l’amore, nella sua sacralità, riempie ogni rapporto e lo rende stabile e ineludibile, sotto il dominio della sua forza; se l’amore, quasi sempre, esclude ogni possibilità di libertà e di scelta, questo si compie in chi docilmente si lascia coinvolgere. L’intreccio dei fili del sentimento nel rapporto d’amore, che si piega alle leggi della natura, e lo rende un’irripetibile emozione individuale, quella reciproca intesa metafisica, a volte idilliaca, a volte più terrena, gioiosa e triste, quel fremito che trascende i confini dell’immanente, anche se ad esso rimane avvinto, trovano ovvia sintesi in un esito fatto di impegno e scelte. L’amore lieto, sincero, genuino, che prevarica la condizione di precarietà, un amore fondato sulla roccia dell’incrollabilità, un amore cieco ed abbagliante, chiuso nell’orbita della certezza, per apprezzare la felicità di un’unione intensa e vibrante, sempre teso alla meta dell’amore. D’altronde, chi non ama sé stesso, non può amare gli altri, non ne può conoscere la vibrante scossa, non può attingerne in profondità la linfa vitale.