Trebisacce-06/05/2023: DANTE E IL CANTO XI DELL’INFERNO: L’HOMO HOMINI LUPUS ( di Pino Cozzo)

DANTE E IL CANTO XI DELL’INFERNO: L’HOMO HOMINI LUPUS

di Pino Cozzo

Dante non vuole perder tempo, vuole rendersi conto della situazione che regna in quell’ambiente, ne chiede spiegazione a Virgilio, che gli manifesta come sia l’ordinamento dell’Inferno, come siano ripartiti le pene e i peccatori, quale sia il sistema di comminazione delle punizioni, a seconda della mancanza commessa. Egli dice che il fine ultimo dell’azione malvagia dell’uomo è l’ingiuria, la violazione del diritto altrui, che può accadere per violenza o frode. Dunque, nell’ambiente che visitano in questo canto, si trovano i violenti, e che lo si può essere in tre modi: contro Dio, contro sé stessi e contro il prossimo. Ed è appunto per questo che il cerchio è diviso in tre settori, e, in fondo, si trovano coloro che commisero ingiuria per frode, giacché essa è determinata da un cattivo uso della ragione, e può essere esercitata ai danni di chi si non fida, ma anche su chi ha fiducia in colui che poi lo raggira. E’ un intermezzo apprezzabile per il gioco mirabile delle simmetrie, dell’ordine maniacale delle suddivisioni, di una rigorosa scienza che non ha dubbi nel suo espressivo ragionamento. Nella Divina Commedia, la poesia e la dottrina camminano di pari passo, sono la struttura portante dell’Opera, costituiscono l’ossatura di un ordinato ragionamento e di una geniale costruzione. Vi è poi espresso il concetto di Plauto dell’homo homini lupus, valido per i tempi in cui visse Dante e, a maggior ragione, si potrebbe riproporre oggigiorno. Spesso, si fa fatica a pensare che ci possa essere odio e cattiveria nelle azioni di un uomo contro un suo simile, che la violenza fine a sé stessa mortifichi chi la subisce e non gratifica chi la commette, che gli eccidi e le distruzioni certamente non danno lustro al genere umano e lo mettono in inimicizia col Creatore e datore della vita. Una forma di violenza può essere forse la colonizzazione, avvenuta sin dall’epoca dei Romani, il cui obiettivo era, forse, allora, solo quello di dimostrare la grandezza di un popolo, la perfetta organizzazione di un esercito, il desiderio di allargare i propri orizzonti e di affermare una supremazia incontrastata. Altri tempi!!! Si è passati, poi, alle colonizzazioni del XVIII secolo, quando gli spagnoli, i portoghesi, i francesi hanno fatto rientrare nella loro politica l’idea di occupare le terre col pretesto di esportare la nobile civiltà europea. E così hanno fatto gli inglesi, soprattutto nell’America settentrionale, il nuovo mondo, che necessitava di appropriarsi di un’organizzazione tale da permettere ad una società di decollare. In effetti, lo scopo era quello di utilizzare le preziose risorse vergini presenti in quei luoghi. Tutto ciò ha forse manifestato dei lati positivi. Per orientarsi e orientare, vi è bisogno del discernimento, di quella capacità di scegliere ciò che è buono da ciò che non lo è. Esso deve aiutare a trovare le strade possibili di risposta a Dio e di crescita, attraverso i limiti: esso è la scure. Esaminare, dunque, e tenere ciò che è buono, dopo aver fatto una cernita. Non lasciamoci rubare la Comunità: evangelizzazione e (è) comunità. La fraternità cristiana è rappresentata dal fatto di diventare una cosa sola con Cristo e che anche i cristiani diventano una cosa sola tra di loro e ciò significa di conseguenza una cancellazione dei confini naturali e storici che separano. Le parole del Signore al giovane ricco “perché mi chiami buono, nessuno è buono, se non Dio solo, significa forse che noi, immagine del Dio buono, dobbiamo a nostra volta essere buoni, una “corporatio cum Christo”. Non esiste l’io con il tu e il voi, ma il noi. Pronunciare il no a questo, e il sì a quello costituisce la libertà di azione che il Signore lascia ad ognuno di noi. I quattro verbi della generatività sono il desiderare come scelta tra il bene e il male, quando il desiderio si avvolge su sé stesso, non coinvolge l’altro, è autoreferenziale, diventa egoismo; il partorire è la mediazione della vita, una forma di compartecipazione al progetto di vita del Signore; il prendersi cura, “l’I care” di Don Milani, il far crescere, educare e guidare alla fede, alimentandola continuamente; il lasciare andare, trasmettendo anche i valori fondanti del cristianesimo e della vita. Un cenno infine a coloro che si danno la morte volutamente, e la danno a tante vittime innocenti, in nome di un credo che suggerisce loro di immolarsi, perché il dio in cui credono riserverà loro un posto privilegiato nell’aldilà ed ai familiari che restano dei sussidi terreni. E’ difficile scoraggiare chi ha scelto la morte alla vita, il male al bene, il ghigno al sorriso, bisogna solo affidarlo ad una misericordia sublime che ne perdoni l’operato.