Trebisacce-06/06/2023: IL CANTO XIV DEL PURGATORIO E IL MAL D’INVIDIA ( di Pino Cozzo)

 

canto XIV purg

IL CANTO XIV DEL PURGATORIO E IL MAL D’INVIDIA

di Pino Cozzo

 

 

Il dialogo tra i due spiriti di Guido del Duca e Rinieri da Calboli, che emerge dal silenzio, sembra un boato che deflagra, ed i due si stupiscono che qualcuno che abbia ancora l’anima insita nel corpo possa transitare da quelle parti, e quando Dante comunica da dove venga, i due personaggi iniziano un’accanita disquisizione, talmente accesa, che il Poeta è così spaventato da farsi più prossimo a Virgilio, che, con opportune parole, lo rincuora, ricordandogli che il cielo mostra sempre tante bellezze, mentre gli uomini sono più portati a guardare per terra. L’invidia, il non vedere in sé stessi, porta a manifestare apprezzamento per le sembianze e i possedimenti degli altri, e a non apprezzare e valorizzare tutto ciò che il Signore spesso ci elargisce amorevolmente. L’invidia sconvolge l’animo, riduce il controllo delle parole e delle azioni, conduce alla vendetta, all’odio, all’insulto, all’ingiuria e perfino all’omicidio. La causa della pace, della giustizia, della salvaguardia del creato, ha bisogno di persone che si appassionino, si sdegnino, protestino, quando questi valori sono violati e disprezzati. Il più delle volte, invece, dietro l’invidia, c’è la sensazione di non essere sufficientemente apprezzati o rispettati, di vedere sminuite o non riconosciute le proprie capacità,  di essere offesi e denigrati nella propria dignità. E poi, c’è l’invidia di chi si sente escluso dal “mondo che conta”, perché incapace di realizzare quegli stereotipi che vengono ritenuti fondamentali ed essenziali per raggiungere uno straordinario successo. Dalla croce della Sua nascosta e perenne comPassione, sotto le sembianze sofferenti, Gesù continua a dare il solenne dono della Sua Madre a coloro che, come Giovanni, cercano di accompagnarlo sui sentieri che portano ai tanti Calvari dai quali Lui ancora manifesta la Sua sete: “Discepolo, ecco tua Madre …” “Da quel momento, il discepolo la prese nella sua casa”. Noi dobbiamo prendere Maria “nella nostra casa”, essendo “la causa della nostra gioia, come lo fu Gesù, avvicinandoci a Lei come fece Lui”, mantenendo in noi “Lei che non possiamo separare dalla nostra gioia, alla quale noi confidiamo i nostri dispiaceri, e con la quale noi superiamo tutte le afflizioni. Non pensiamo che stiamo lavorando con Lei, se diciamo solo poche preghiere per Lei. Dobbiamo vivere costantemente con Lei, affidarci a Lei con quella ingenuità dei bambini in tutte le nostre gioie e dispiaceri, imitando le sue virtù e abbandonandoci completamente nelle sue mani”. Pregando come fece Lei, e pregando con Lei, entrando nella sua esperienza dei misteri della vita di Gesù, nella preghiera contemplativa del rosario, la Sua anima diventa un filtro vivente attraverso il quale noi stessi sperimentiamo il mistero del Dio Vivente. Il Suo abbandono la unì all’abbandono di Gesù e dell’umanità, i cui affanni Egli prese su di sé. “Lei è assolutamente vuota: vuota di orgoglio, invidia, gelosia, amarezze, malizia e cose del genere. Ecco perché Lei poté essere piena di Dio. E noi, cercando quella sorta di vuoto, pratichiamo la vera devozione per Lei. ‘Affidatevi alle mani del Signore…’ umilmente, nascostamente, assolutamente privi di orgoglio”. Nella sua vacuità, Lei era piena, potendo dare solo Gesù perché era “tanto piena di Gesù da portarlo agli altri … La parte più bella della Nostra Signora fu che, quando Gesù entrò nella sua vita, immediatamente, senza esitare, andò da Elisabetta, per donare Gesù a lei ed a suo figlio. Come leggiamo nel Vangelo, il bambino sussultò di gioia al primo contatto con Cristo …“.