Trebisacce-24/02/2024: Rubrica letteraria a cura di Salvatore La Moglie Incontro con un autore contemporaneo: Lorenzo Spurio La poetica di Lorenzo Spurio tra impegno civile ed esistenzialismo, tra (ir)realtà e visioni-apparizioni-epifanie-immagini nell’opera Pareidolia (The Writer Edizioni, 2018, pp. 120, euro 10)

     

SPURIO
Salvatore La Moglie

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   Rubrica letteraria a cura di Salvatore La Moglie

Incontro con un autore contemporaneo: Lorenzo Spurio

La poetica di Lorenzo Spurio tra impegno civile ed esistenzialismo, tra (ir)realtà e visioni-apparizioni-epifanieimmagini nell’opera Pareidolia (The Writer Edizioni, 2018, pp. 120, euro 10)

 

di Salvatore La Moglie

Se apriamo un dizionario e vogliamo scoprire cosa significa la non comune parola pareidolia, leggiamo che essa è la tendenza istintiva e automatica del cervello a trovare strutture ordinate e forme familiari in immagini disordinate; l’associazione si manifesta in special modo verso le figure e i volti umani. Pertanto, riusciamo a vedere, in alcune creazioni della natura (una roccia, un fiume, una nuvola, ecc.) un volto, una testa (anche di animale), un cuore e quant’altro. Inoltre, un fenomeno simile alla pareidolia si ha anche per le percezioni uditive, quando si crede di sentire suoni, parole o frasi significative in rumori casuali. Tutta questa fisicità è, pertanto, ben collegata alle nostre sensazioni, alla nostra sensibilità, alle nostre emozioni, al nostro mondo interiore e, insomma, alla nostra particolare capacità e al nostro particolare modo di percepire, di vedere e di sentire la (ir-)realtà che ci circonda.

E chi più del poeta possiede questa particolare capacità? Il poeta che, con Baudelaire, vedeva la realtà come una foresta di simboli in cui solo il poeta riesce a districarsi e a trovare le corrispondenze; il poeta che, con Rimbaud, si dichiarava veggente e, quindi, capace di vedere una realtà altra, aldilà delle apparenze, e un oltre grazie al terzo occhio della poesia, dell’arte e di un lungo, immenso e ragionato sregolamento di tutti i sensi; il poeta, infine, che, con T. S. Eliot, annunciava nel ‘900 la poetica del correlativo oggettivo (o degli oggetti che, in Italia, è stata ripresa e rielaborata da Montale) per cui il poeta – grazie a questa tecnica –  trasferisce sensazioni, emozioni, stati d’animo, ecc. in oggetti, animali, situazioni, occasioni, ecc. Ebbene, possiamo dire, e crediamo di non sbagliare, che Lorenzo Spurio, con la silloge Pareidolia (ma anche con le altre) sembra farsi erede di tutte queste poetiche, di raccogliere la lezione dei grandi maestri dell’800 e del ‘900 per proporre, alla fine, una propria originale poetica con un proprio autentico stile in cui la realtà appare come irreale e l’irreale, la visione, l’immagine, l’epifanico, il pareidoliaco (anche quello sinestetico) come la vera realtà.

La silloge – edita da The Writer Edizioni, 2018 – è suddivisa in quattro parti: la prima si intitola Affossamenti, la seconda Ecchimosi, la terza Dedicatio e la quarta e ultima Pareidolia, che dà il titolo a tutta la raccolta. Nella prima parte (Affossamenti) emerge subito il forte impegno civile di Spurio nel raccontare in versi la nostra irrealtà quotidiana (direbbe Ottiero Ottieri). In Ventuno di nero (lirica, spiega il Nostro, ispirata all’esecuzione sommaria di ventuno egiziani copti da parte dell’Isis, avvenuta in Libia nel febbraio 2015) si legge di cose che, dopo quasi diecimila anni di civiltà, non si dovrebbero mai più leggere: Un boia ciascuno, / lame affilate e denti digrignati, / smorfie vane nei proclami d’acciaio: / in ventuno alla battigia genuflessi. / Con un mare ondoso, / non di tormento ma d’inganno / e le frontiere non c’erano più; / l’acqua che bagna le coste / le onde che sciamano lente, / il sangue che sfuma e si scioglie, l’essenza vitale che si annulla / in una lotta dove vince / l’efferatezza peggiore. Il risentimento ormai è dato ai pochi / e ci si annulla in molecole d’acqua / in un Mediterraneo / conca di morti / acquitrino di angosce / culla di dolore abissale. / Oggi il mare si è tinto di rosso / ed emana un olezzo / di croci infuocate e sabbia straziata. Orrore, crudeltà, spietatezza, sangue, morte e un mare, il Mediterraneo, che sembra essere diventato un bacino di raccolta di cadaveri, quelli dei morti ammazzati e dei migranti che, sperando di giungere nella Terra Promessa, fanno, invece, naufragio con i loro barconi e, pertanto, succede che: Nella traversata il / legno s’incrinò / come le coscienze putride di / chi parla e tace (Ora qui, ora là). E in Sacchi neri (Carme lento) l’orrore, il disgusto e il risentimento dell’io poetico narrante per le vite ingiustamente fagocitate dalle acque assassine del Mediterraneo (insieme alla denuncia della regnante ipocrisia della “civiltà” occidentale) si fa sempre più forte fino ad invocare una sorte di dolorosa punizione divina su quanti (i Potenti della Terra) sono responsabili di tanti morti e di tanto sangue innocente: Nell’acqua avete chiesto aiuto e scorto torvi riflessi / di sembianze sfiduciate ed espressioni avvilite / sfidando la legge di Archimede, avete saggiato / che il peso dell’acqua è di un colore selvaggio /… ma lì nel mare-canaglia il peso era insostenibile / per annullare la profondità vi siete battuti / sino a che per osmosi contro-natura / gli intestini sono diventati vasi comunicanti / con quell’acqua salata che vi ha riempiti / fagocitando tutti gli organi, ora poltiglia. / Si sono inzuppate le idee e ipersaturati i progetti, / le labili speranze sono affondate con essi. /… La vita è una spugna che si sfilaccia / e da lì scola all’infinito la sostanza dell’essere / la coscienza è marcescente negli abissi /… Nella decomposizione delle carni / a contatto con pesci assassini / felici di un banchetto ricco e gratuito. / L’acqua siete voi / e come altare di vita che consacra la venuta / vi custodisce con essa /… La vostra vita dispersa nelle acque / dimora in ogni molecola di mare./… Il sole non scalda sino a dentro / e la speranza confezionata di morte si strozza. / Dei confetti luttuosi allineati / con rigore e perizia / precisione e rispetto / dall’ingloriosa Europa nel cui cuore / pullula sangue-bitume di denaro liquido. / Nessuna protezione né compassione / solo spietatezza e falsa commiserazione / nei lidi bianchi di Sicania bella…/ Ogni storia di morte ha il suo esordio ed epilogo / sconsolatamente identico e inarrestabile / per una massa umana derelitta e sbandata con il pianto / negli occhi che non può fuoriuscire / con il cuore in remissiva lotta contro l’esistenza / ma oggi, sotto quel sole cocente / non chiudete quei sacchi-spazzatura! / Non differenziate la morte dalla vita / e lasciate respirare quei morti, / sfogarli del loro disprezzo / e invocare le proprie divinità. /… Sotto il sole che regna imperituro / sadicamente invoco dolori contro i colpevoli…

Nella poesia La zattera l’io poetico, preso dalla visione-immagine del mare, delle acque che appaiono avere quasi sempre una valenza metaforica negativa, come qualcosa che fagocita e ingoia, torna come al passato, alla memoria, all’immaginazione e al suo sentirsi come un novello Ulisse dantesco, pronto a costruire le sue zattere con i pochi mezzi a disposizione e a mettersi in alto mare aperto (direbbe Dante) per scoprire mondi sconosciuti: Costruivo zattere con legni scheggiati /  nelle notti assolate di Dicembre. / Avrei solcato fiumi e mari, / spingendomi oltre / in territori mai svelati da nessuno. Subito dopo, però, c’è come un improvviso ritorno alla realtà: In quei pensieri affondavo / e lo scricchiolante legno si spezzava, / dopo insicuri movimenti / su un mare oleoso. Si spezzava e affondava proprio come i barconi dei disperati migranti nel Mediterraneo…

Nella seconda sezione della silloge (Ecchimosi) troviamo ancora e già nella lirica di apertura (Colloquio) la terribile presenza della morte: adesso è la mitologica Atropo (una delle tre Moire o Parche) che si diverte a recidere i fili di tante vite, con spietatezza ma anche con tanta stanchezza, visto che ha lavorato tanto con la sua bella forbice: Poco più in là, Atropo / scorciava fili senza pietà / e stanca / si reggeva a un fuso / impolverato.

Questo lezzo di morte in un mondo in cui a regnare e a prevalere sembra essere la morte invece della vita e della gioia di vivere, lo rintracciamo anche in Primavera a Prypiat. Il canto delle betulle, poesia dedicata alla tragedia di Chernobyl, cioè del disastro del 1986 nella centrale nucleare, che tante conseguenze nefaste, di breve e lungo periodo, ebbe per il mondo intero: Dove vado per incontrare qualcuno? / Quale casa è abitata? / Tra bivi cancrenosi e un cane stanco / mi accaloro sul lutto del colore./ Se la pioggia cade, la terra vuol vomitarla./ Le lamiere specchiano la vita vaporizzata, / sibili di assenze e intercapedini abiurate. / Il silenzio si sente e il cielo è un fagotto / di un lenzuolo a brandelli e sfilacci / chi ne lavorerà i rattoppi con fili d’edera? / Quando la luna si approssima / vacilla e trema di una’eterna paura / nel trono apicale del regno toxofobico / alza il bavero stinto,/ trova dimora tra le betulle puntute. /Qui la terra è offesa e non vuol essere, / si sopravvive allo sfacelo / nel solo canto ossuto delle betulle / dalle vermiglia carni.

Intanto, ne Le tamerici danzano, l’io poetico narrante lamenta le speranze mietute e nella brezza che so che c’è non gli resta che prendere atto che: Il mistero forse soggiace / nel dire dei lampioni fissi, che stanno certo meglio di noi, avvolti come sono, nella loro divina indifferenza (direbbe il Montale di Spesso il male di vivere). E tra la (ir-)realtà che ci circonda e la nostra condizione esistenziale, la narrazione prosegue con Quel lenzuolo di polvere, componimento dedicato “Ai terremotati del Centro Italia”, nel quale si leggono alcune parole importanti ed emblematiche che fanno ben emergere la particolare poetica visionaria, epifanica, pareidolitica del Nostro, poetica affine alla poetica degli oggetti, del correlativo oggettivo, che stiamo cercando di delineare (le sottolineiamo col neretto): Non so se è il tempo della resa / o della dannazione senza remissione. / Non so se dalle porte scardinate / e dalle brune finestre strappate / le anime siano già fuggite / o se ancora dimorano nella pietra./ … Dov’è il sangue dei morti? / La Terra l’ha risucchiato a sé / nei vaghi involti dei suoi intestini. / Solo statue di gesso con occhi / che corrono verso ceppi di ricordi / di quando ieri si respirava ancora. /… Mai si può credere di poter ritrovare / i cumuli di sensazioni nelle nebulose / ora che dagli attimi dilaniati / si è alzata una fitta polvere.

Anche nella lirica Parestesia della terra (scritta per il terremoto di Visso, dell’ottobre del 2016) troviamo parole altamente metaforiche e simboliche: E tu ti chiedi perché /accade ciò che non ha forma: / se l’invisibile non c’è / allora non ha mani né unghie / per afferrare e tramortire. Un / mostro iroso che ha fame / senza volto, né occhi, / scia di vento che taglia. / E tu ti chiedi perché / anche oggi (si) deve fluttuare / in un singulto di onde / tra pezzi di giorno e ore finite. / Reduci di colloqui coll’aldilà  / abbiam perso i nostri malli, / in balia di temperature austere / inerti, imploriamo la tregua. / E tu ti chiedi perché / qui è un camposanto di crepe / e l’asfalto ondula improvviso…/ come una coperta sfilata / di colpo lasciandoci nudi…/ E tu ti chiedi perché / pure il vegliardo pomo / oggi ha provato dolore / quando quel senso di vuoto / ha mischiato le sue radici. / Un santo dal braccio mozzo /dietro una coltre di polvere / mi parla, ma non afferro. E, alla fine, come non vedere che quella parestesia della terra appare come una metafora della parestesia di noi poveri umani e mortali, sempre più caduchi e traballanti, oscillanti, pieni di crepe e, insomma,  probabili macerie-relitti nel mare impetuoso, pericoloso della vita che è pronto a gettarci lungo la battigia come qualcosa che non vale nulla?

Nella poesia Sezione 98 del cimitero Behesht-e Zahra, ritorna l’impegno civile, la protesta e la condanna del poeta del regime iraniano che, nel 2014, fece impiccare Reyhaneh Jabarri, una giovane e coraggiosa donna che si ribellò alla violenza sessuale di un suo connazionale uccidendolo: Una condanna alla pena / d’esser donna nel mondo, / regimi di paura e canaglie / ideologiche per una difesa / all’onore. Subito dopo si può leggere Quaderni rossi, dedicata alla strage avvenuta in una scuola militare di Peshawar (Pakistan), nel dicembre del 2014, che aveva provocato la morte di 140 persone, molti dei quali bambini e adolescenti: Anime dannate, chi / recide il fiore e / ammazza il sole, / s’ammanta di disprezzo / e contamina il mondo.

In Di scisse emozioni (lettera a Orbàn) ritorna il tema, caro al poeta, della sofferenza e dell’assassinio dei migranti che vengono respinti e lasciati morire nei mari pur di non accoglierli e, questo, per razzismo, xenofobia e difesa dell’egoismo nazionale. E così leggiamo la durissima contestazione e protesta dell’io poetico narrante, sempre più disgustato da tanta mancanza di pietà per il nostro simile (non mancano, anche qui, alcuni enjambement di cui, il Nostro, sa fare sempre accorto e sapiente uso) : …Lieve il vento, così lieve / da non sentirlo invero / circola in refoli continui. / Una presenza tacita / che accompagna il tormento / e assiste all’assillo / del vituperio delle razze. / Una serpentina baluardo / erta su viltà cementizie. / Ma il vento passa non / visto / e nessun pertugio gli è / ostacolo afflati d’aria tra punte di ferro / di un valico di vergogna / per proteggere la propria terra. / L’aria non può essere divisa / e l’acqua non si separa, / né nei fondali è spartita. / I vostri muri eretti sulle / scrostate coscienze / sono gesso scalfito / già eroso e dissipato. /Non credete di aver questo scettro / di limitare una terra non vostra / come vi pare, neglette menti! / Nei vostri denti digrignati e aspri / nascondete gengive di sangue e / denti massacrati a poltiglia / palati sfondati e lingue spente. / Di scisse emozioni, vi parlo. / Vigliacchi adornati di una luce che / macchia la profezia del bene.

Ma l’urlo disperato del poeta continua, questa volta, contro le persecuzioni e le torture che un Potere crudele e sanguinario riesce a infliggere a chi non si conformizza, contesta, non si piega e grida la propria libertà. Trittico del fuoco. Lamento per le donne yazide è dedicato a 19 donne curde che, nel 2016, vennero imprigionate e chiuse dentro gabbie metalliche e poi arse vive da un gruppo di estremisti islamici a Mosul (Iraq). La loro colpa: non aver ceduto alle richieste sessuali di questi criminali. E così leggiamo che: La ruggine par che non arda: / ho chiesto alle poche pietre di / ascoltare un canto di sfogo / ma irrorate dalla vigliaccheria / hanno assunto un’aria altezzosa, / mute hanno assistito alla tragedia. / D’intorno, aria di livido fumo / scoppi, lampi e bolle di liquido, / viscere dilaniate, torce di capelli. /… Pure il nero dell’umana combustione / con gli scarti dell’esistenza offesa / col tempo stinge e s’imbeve di tinte. / Eppure quelle misere derelitte / avevano il ferro liquido nelle vene, /la forza di pesanti metalli piombati / valori aurei, desideri di zinco, / timori di zolfo e speranze lucenti /… Oggi la ruggine ha vinto, signori e / comari, / capi tribù e milizie improvvisate / di giornata, / divinate l’aranciato ferro che si sfaglia: / è custode di uno scempio senza fine.

Subito dopo, in Stelle nere (Stragi di Bruxelles) la protesta continua e si legge che: Per un dio sultano / si è fatto il buio / strappando con lame / la luce ordinaria. / Si può credere di vivere / mentre si urla… e, più avanti, in Humus negato dedicata  Ai siriani bombardati: Io dico che s’illude / di campare chi grida / e trafora le sue carni. / S’innerva lo sciame / di una pioggia d’acciaio / che inchioda le sfitte / macerie,  humus negato. Come dire che per questa povera gente bombardata non c’è altro humus, altra terra, come loro tomba, se non le macerie… E ne L’étagèr lucida c’è ancora il lamento per la sventurata Siria e le macerie di Aleppo: il dolore, la sofferenza sono un po’ dappertutto e sembra l’emblema del Weltschmerz, del dolore del mondo che il Nostro avverte su se stesso e di cui sembra essersi fatto carico: L’ubiquità del dolore / è una costante insolente, / vestita con la giacca rossa / di polvere di mattone forato. / La parete è crollata di colpo, /…Che senso ha il moto stizzito / degl’insetti che varcano anfratti, / passano rottami, s’inoltrano, / sperimentano la distruzione, / si defilano e s’attardano,  /  e poi si dileguano miti? / Che rodano quel legno defunto / dell’integra  étagèr e lo distruggano: / qui non c’è spazio per il sano. / Nessun scolitide ad Aleppo, / fitta foresta di cemento / sotto il latrato di cieli che / di continuo son stuprati.

Alla disgraziata Siria è anche dedicata, più avanti, un’altra dolente lirica: Idlib: la morte incolore che prende spunto dal bombardamento sulla città di Kahn Shaykhun, nella zona di Idlib, ordinato dal presidente Assad, in piena guerra civile, ed affettuato utilizzando il sarin, cioè un potente gas nervino che non lascia scampo alle sue vittime: L’assassino incolore è arrivato, / si è infilato infingardo tra pori: / hai inalato ribrezzo e odio tossico in / un’aria ostile alla vita, ora che / non riesci a tossire, la sua formula / s’impadronisce dei tessuti e non sai. / L’affanno al respiro, il cielo che nutre / timore per quel che accade di sotto, / nello zoo senza leggi di vittime / sottratte al proprio itinerario normale. / Subito a lavarsi, getti d’acqua / imploranti, atti di ribellione a chi / comanda l’implosione dell’uomo. / Bagna e sfrega, getta e spruzza, / bambini adagiati e impauriti /  da una belva che non c’è, / come spiegare che la stessa aria / che gli ha dato la vita, ora lotta / perché vuole il tracollo di tutti? / Le spore si diffondono con brevità / tra quelle carni fresche e innocenti / che hanno visto pochi soli sorgere. / Non c’è un contenitore per l’odio, / esso è vapore che non ha barriere; / in questo pezzo di terra l’acqua / combatte sola, a impedire il morbo /  che intacca la cute, affatica il respiro. / Assad  nelle buche fonde d’ignoranza / nei mustacchi che non danno autorità, / dove abita il legame per la tua terra? / Monaci dorati in basiliche metropolite /  e minacce oltreoceano in uno scacchiere / temuto e ridicolo che non è di nessuno:  / sgozzate l’infamia e degradate il gas / che incinta di male il corpo e lo annulla! / Terra di cultura fiorente e di lotta esibita, / culla di splendore e bocca armata, / pure i cedri sono intaccati dal sarin. / Sarà notte dolente e perpetua / al decadimento del palazzo regio, / pentola bollente di barbarie infinite / che produce lo schizoide nervino.

Nella terza sezione, intitolata Dedicatio, troviamo liriche dedicate, appunto, ad autori cari al Nostro, quelli ai quali vuole rendere omaggio. Noi citiamo le più importanti. Due sono per Antonia Pozzi, la poetessa milanese che si tolse la vita a soli 26 anni, forse perché quella che viveva non la soddisfaceva e avrebbe voluto cambiarla: Ausculti il tempo che precede. Alla fine, con tanta amarezza e dolore per una vita spezzata nel fiore della giovinezza, così conclude Spurio: Se parli di te, confessi il lutto di / giornate abiurate alla gioia. / Il nulla odora di grigio / ma illumina aneliti di fuga / quando, severa, compi / la scelta della terra. Il titolo della seconda poesia per l’amata Pozzi  è La nutria non sa. Nella bellezza di tutti i versi, questi restano davvero impressi: Nelle intemperie di ore / lance di vergogne represse / all’enigma pensi – sofferta – / le sembianze del tuo io.

Segue, poi, un omaggio al grande Federico García Lorca, a 79 anni dalla morte per fucilazione da parte dei franchisti: Nella magnolia. Nella conclusione si leggono questi bei versi: Non la poltiglia di odi nel cavo orale / ma i succhi di mirto e agave / le essenze di alloro e il pane / fragrante della vita di attimi./ Quando sfioro il viola acceso / che tinge il bianco estasiante / nella magnolia, parlo con te.

Radici immense è la poesia dedicata a Gian Mario Maulo, ex sindaco di Macerata, amante della poesia, scomparso nel 2014. Colpiscono i primi cinque versi: I poeti muoiono di notte / non visti, / e di giorno sono già morti. / L’alba sopraggiunge timida / quando la vita ormai se ne è andata…

Segue una lirica in omaggio allo scrittore brasiliano (scomparso pure nel 2014)  Julio Monteiro Martins, nel giorno del suo ultimo volo. Titolo: Cactus e carioca. Qui colpiscono questi versi centrali: Neppure là era notte quando accadde, / ma la nebbia nostrana, inclemente / rigurgitava ansimi e tormenti. / La migrazione delle onde / nel sonno trovò pace…

Più avanti con la poesia La morte globale,  dedicata a Víctor Barrio, torero caduto a Teruel il 9 luglio 2016, la morte del torero finisce per diventare emblematica, allegorica di una morte, di un morire che diventa collettivo, globale e l’io poetico si lamenta con queste accorate parole: La sorte suprema oggi / ha conficcato a fondo / una carne pregiata. / A Teruel luci appannate / d’un invalicabile fato. / I giri di fortuna / non ne vogliono sapere / degli aneliti del sole, / oggi che l’assenza ha vinto. /… La morte da eterna / si è fatta globale… Subito dopo, segue una lirica (Sfogo dell’impazienza) dedicata a un misterioso o misteriosa D. D. nella quale il dolore e l’accoramento sono ancora più forti, tanto che avverte subito che non gli bastano i versi di un poeta per poter dire la sua sofferenza. Infatti, scrive che solo il dolore è una pietra che non si estingue col tempo e che, tra gli affollamenti d’idee cerca uno sfogo al tormento / che nell’impazienza della coscienza risiede; poi, il suo canto di sfogo, prosegue e si conclude con parole che sembrano voler scolpire una volta per tutte questo doloroso mistero, enigma che è la nostra esistenza: L’impazienza mi accerchia di continuo / nell’enigma dell’esistenza rubata dal dolore / non trovo pace e il delirio delle immagini / vortica in questa assenza frastagliata / di un sorriso che sapevo vivo / e che tale rimane nell’istantanea.

Hai dominato l’aria è il titolo della poesia con cui il Nostro esalta Amelia Rosselli. Nella parte conclusiva questi versi vogliono come conferire, alla grande poetessa, il suo particolare carattere: Arcigna è quella rampa / che ti ha dato la vita; / denti lucidi le scale / – non ti hanno afferrato – / Hai scorso di colpo il percorso: /il foglio che centrifuga / il mondo non l’hai lasciato vuoto. E belle parole sono anche spese per un’altra grande poetessa: Alda Merini. Titolo: Numeri e sigle. Anche qui l’omaggio vuole come scolpire per sempre le caratteristiche umane e poetiche di una donna che tanto ha sofferto ma che tanto ha saputo creare con il verso, con la parola poetica. E sono parole, quelle di Spurio per la Merini, che meritano di essere riportate nella loro completezza: Ho sentito che pensi delle parole, / di come si costruiscono lente, / si creano con l’aria e pezzi di muffa. / Non hai da dire l’uso che ne fai; / nel verde degli occhi si legge la fiaba, / sai che il canale lì vicino strozza / le forme liquide di vapore? / Tra le zolle di una mente che traballa / ho visto il cuore che si sviscera / con la parola più facile e prismatica; / ne conservi la potenza ora che / i muri imbrattati di numeri e sigle / non spiegano i lemmi di una dura vita. / Eppure hai gioito delle ore spavalde, / hai divulgato il guizzo inconfessabile, / sparuta forma di lotta al disagio.  Sai il verso dei cilindri della mente, ritagli di delirio, ormoni svuotati: giornate d’ansia e d’ardore / nel velame rigato delle idriche vie. / Non credo di scorgerne l’eco, / ma il sole ancora spruzza la riva / e indora il chiaro canto, tra memoria / e mito continuo, / vaporizzi nell’aere / scandagli di vita e litri di poesia.

Infine, una lirica è dedicata alla memoria di Rosario Livatino  Non è stella lucente (Al giudice ragazzino) – il coraggioso magistrato siciliano che, in un’Italia di politici corrotti e di giustizia malata, aveva pensato di poter combattere il cancro della Mafia, della corruzione e del malaffare ma venne assassinato, in un agguato mafioso, il 21 settembre del 1990. Scrive Spurio (e anche adesso vuole che le sue parole di protesta e di denuncia nei confronti del potere politico e giudiziario come di quello mafioso, restino come scolpite sulla pietra): Livatino in terra di pianto / e sangue desti alla terra, nutri camomilla e il cardo / c’è il vetro che dice del peso, / rocce che tagliano e pungono. /… Livatino, che sangue desti, / giovane di foggia di diritto, / cavalletta di legalità pura / nella terra scordata, urla / che non si vogliono sentire / e braccianti lesti che s’occultano. / Livatino, che sangue desti / non sai che le belve dello zolfo / prosperano e affollano vie; / della Procura il palazzo, fermo / ammasso grigio di roccia: / dibattimenti e deliri umani, / il vero nome non piace. / Penso così, oggi, trafitto / dall’epigrafe spaccata; / tra gialli caporali di melma / e baroni gessati adocchio / il sangue che desti, fluido / e nero, lombrichi di domande / intrecciati e compatti / creano coaguli insolubili.

La quarta e ultima sezione, che dà il titolo alla silloge, è intitolata, appunto, Pareidolia. Per far capire al lettore il senso della sua poetica, Spurio fa precedere le liriche da due potenti frasi. La prima è tratta dal Vangelo di Giovanni (21, 4):  Essendosi già fatto giorno, Gesù si presentò sulla riva; ma i discepoli non conobbero che era lui; la seconda da Fedro: Non sempre le cose sono come sembrano, il loro primo aspetto inganna molti: di rado la mente scopre che cosa è nascosto nel loro intimo. Come dire che le cose della vita ci appaiono ma non sempre riusciamo a vederle per quelle sono, non sempre riusciamo a coglierle nella loro reale immagine e consistenza. Non solo, ma come avverte Fedro, non sempre la nostra mente riesce a scoprire cosa veramente le cose celano, nascondono nella loro essenza, nella loro misteriosa intimità. L’occhio fotografa ma la mente può errare, può farsi depistare. Ed è qui che interviene il poeta che, grazie al suo terzo occhio, che proprio l’arte, la poesia, la sensibilità poetica gli consentono di possedere, riesce a far luce dove per gli altri è solo buio. Circonvoluzioni che non vedi è il titolo della seconda emblematica poesia della sezione, fatta precedere da alcuni versi dell’amato Eliot tratti da La terra desolata: E l’albero morto non dà riparo, nessun conforto lo stridere del grillo, l’arida pietra nessun suono d’acque. Della lirica almeno questi versi, quelli iniziali e quelli conclusivi: Esiste pure la terra che non sai / se ti affacci e scansi la polvere. /…Non si neghi che pure gli acquitrini tersi / sono melma di quiz insolvibili, che s’alza. / Succede, quando riformi le nuvole.

La terza lirica – un vero e proprio manifesto e una vera e propria dichiarazione di poetica – porta il titolo della silloge: Pareidolia, ed è anch’essa preceduta da versi dell’amatissimo Federico G. Lorca (da Poeta en Nueva York): Mentre la sera divenne torbida di palpiti e boscaioli. Scrive Spurio con grande maestria di poeta visionario e, appunto, pareidoliaco: Se la notte s’avvera / io non so il suono pesante / e i tralicci di angoscia verde / che recide di netto / quando siede sul trono del buio. / Io cercavo di afferrare / una forma, creare una geometria / con angoli flosci e rette svanite / ma il bonario abete che danza, / ora veleggia in un mare afflitto. / Riconosco quel che uno / immagina del già esperito / ma annullo me stesso e / sbraito negli attimi ineguali. / La cavalletta che vedo ben salda / senza fine appare e scompare dove s’àncora quando so / che pure esiste e non c’è? / Le stelle son compagne di falene, / meduse telluriche e barbe di allori / nella notte che annuncia se stessa / e riscopre il bivio di ieri. Insomma, tutto si manifesta, tutto ci appare, sembra avere un senso, una forma e una consistenza ma, poi, tutto sembra essere misteriosamente diverso… E sorgono spontanee le domande e i dubbi.

Pure molto emblematica di una particolare poetica è la poesia Sembianze del poeta, in cui viene tracciato il profilo del poeta moderno e post-moderno, il suo diverso modo di fare e di pensare la poesia e il proprio mestiere di poeta: Il poeta è un incauto inclemente / perché spazia tra scaglie di vita / e lunghe autostrade pericolose / inzuppato da velleità arrugginite dalle ore. / In lui domina un senso non consapevole / che squarcia con lame inarrestabili / malli di creazione e magmi interiori. / Non dice, ma sa / non pensa, ma costruisce. / Solidifica il vacuo / e materializza l’aeriforme / in caleidoscopiche esplorazioni di vita. / Ha smesso di far rimar cuore con amore / e deturpato il verso fisso / stridendo rime e rompendo schemi di cemento

Anche la poesia che segue (Davanti a un frigo) sembra continuare sulla scia della precedente e, infatti, leggiamo che: Il poeta tinteggia di fucsia la pagina arsa, / ne rivive la trama di filigrana / in scandagli endoscopici di forme. / Spezia insipidi vocaboli / in giullaresche cucine all’americana / con il sale della coscienza / e l’olio vischioso della verità. / La memoria condisce la pasta di noi / e l’ascendenza del senso d’essere / è una salsa amara / che ne infetta la struttura / e la distrugge lentamente. / Dinanzi a un frigo chiuso.

Più avanti, nella lirica Nudità capillare, colpiscono questi emblematici versi di una visione dolorosa della vita, nella quale sembra prevalere sempre di più l’assurdo, l’irreale e il surreale, mentre la ragione fa fatica ad imporsi e, in verità, è sempre più debole: Nel teatro dell’assurdo / si gioca e si vive / quando corri dietro al niente / in cerca della ragione. E pure nella poesia Duloxetina (che è il principio attivo di un antidepressivo) l’io poetico narrante si lamenta e si sfoga su una vita, su un’esistenza intossicata più dal dolore e dalla fatica di vivere che da qualche psicofarmaco: il lamento su di una vita che non è nostra, vissuta da sveviano inetto alla vita, visto che cerchiamo di imitare quella degli altri, che ci appare ben diversa dalla nostra. E, così, leggiamo subito questi simbolici e, oserei dire, quasi ermetici versi, proprio secondo il modo di fare poesia del Nostro: C’erano pure i sassi / ad ancorare alla terra, / poche ore e la Pasqua / avrebbe esordito. / Camminando su bave di cifre, / aliti di pensieri ossessivi: / mimavi le altrui vite / e la tua perdeva vigore. / Le increspature delle mani / non sempre restituiscono / il carico dei giorni trascorsi; / io vagavo nel possibile ritorno / credendo che la forzatura / del vocabolo fosse / un artificio d’ardesia. / Ecco che le spore / di un vissuto tossico / rincorrono il salubre motivo / per vendicare fogge / di un antro insostenibile

Il motivo intimistico ed esistenziale di questa ultima sezione della raccolta prosegue nella lirica Vortica-mente – stanza 1 e, infatti, l’io poetico sfoga la propria angoscia esistenziale, i propri pezzi d’angoscia con questi versi: Nella stanza d’acqua / gocciola l’aria / dei momenti fissi. / Angoli che non vedi / e calcanetti supremi, / piastrelle, pezzi d’angoscia / nel tracciato d’argilla / e doppi vetri neri. / C’è da chiedersi / quale è l’attimo / dell’incidente di luna / se i poli lambiscono / polpe di fragole. / Scrivi ciò che pensi: / non è detto che sia / nella mente-groviera. /… Eppure le parole si torcono / e s’anguillano alla carta mentre / noto che il refill si è svuotato. Nella nostra povera mente che appare come una groviera con i suoi buchi, ovvero con i suoi vuoti, con le sue insufficienze, le parole finiscono per torcersi e magari anche contorcersi e, quindi, vanificarsi sulla pagina che aspettava di essere riempita e, del resto, c’è anche il refill ormai consumato, quasi emblema della fatica di scrivere, di fare versi su una vita, un’esistenza che duole e si trascina.

La lirica Tu cresci troppo è dedicata a un fico settembrino, nel terzo anno d’età. Qui l’io poetico sembra voler parlare di se stesso attraverso l’immagine di un fico, quasi come a voler istituire una sorta di paragone tra lui e la pianta, ed è quest’ultima che appare trionfante rispetto al corso della vita degli uomini che l’io narrante simboleggia. Verso la fine si legge che: Arriverai al vertice / che non so cogliere, / flemma che boicotta l’aria / e approda apici indicibili. / Non so dire se gli anni / tuoi sono più crudeli / o se vivi accelerato, sempre. / Tu lo sai che muori per finta / e risorgi nella gemma. /…Chi compirà una vita / di alto verde così?… Una vita da invidiare quella del fico settembrino che cresce troppo…

Subito dopo si legge Verso il mare: la simbologia qui appare essere tra il correre di noi uomini, nel tempo, verso la vita e la possibile felicità e il correre del fiume verso il mare per perdersi e morire in un istante: ed è in un istante che noi e la nostra possibile felicità possono perdersi e morire:  Imparammo coi fiori / a erigere la felicità: / era un tempo lungo / senza capitomboli, / fluiva ma era stasi / d’attimi, capimmo tardi / la sua staffetta / e il morire, il tardare, / il correre, il virare colore, / la ruga, la foglia avvizzita, / le scarpe bagnate, la polvere, / il cadere e l’ultimo sospiro. /Capimmo tardi: il vento / spirò da Oriente e il fiume / d’istante bevve se stesso. / Correva sempre al mare, / ma aveva un fare irruento. / Capimmo tutto. / Fu un attimo.

Corri e scolorisci la notte è la poesia che chiude la silloge e i versi non potevano essere più belli: Dell’anima che si piega e / si siede non vista, ti parlo. / Non chiedere il senso: / la sera s’è incenerita, / la stanza vive storie, / vorticano le onde / e i petali intirizziti nell’angolo / stillano gocce di mistero /… La lotta si consuma tra l’erba e / il sospiro che brilla e riparla. / Slega il buio all’istante: corri e / ruba le forme più belle, ad esse / congiungi le idee che s’alzano, / corri: ora sei quello che vuoi. Della nostra stanca anima, che si ripiega come su se stessa e trova la sua pace riposando su una invisibile sedia, lei stessa invisibile…: è di lei che lo stanco, sofferente ma mai indomito io poetico narrante vuol parlare al lettore, avvertendo, però, di non chiedere il senso di tutto questo. La sera è terminata, s’è fatto buio, la stanza è piena di storie, le onde del mare s’innalzano vorticose, mentre i gelidi petali sembrano mandare i loro misteriosi messaggi…Tutto appare racchiudersi e consumarsi nella lotta tra l’erba (simbolo di vita e di vitalità) che cresce e il sospiro dell’uomo e della sua anima che non si arrende, che, nonostante tutto, non demorde e vorrebbe sciogliere e mettere subito in fuga il buio per poi correre e rubare, acciuffare le cose, le forme più belle della vita per unirle, congiungerle alle idee, ai pensieri che si elevano, che sembrano prendere il volo: solo allora si potrà essere quello che si vuole, quello che si sogna!…

Lorenzo Spurio è certamente un fine critico letterario e uno scrittore e  poeta tra  i più notevoli dell’ultima generazione, da anni, ormai, tanto apprezzato sia dalla critica che dal pubblico. La sua ci appare una poesia e una poetica che tanto debbono agli autori classici ma anche a quelli moderni e a noi più vicini, ma che hanno saputo, ormai da tempo, trovare la loro particolare forma, la loro peculiare via al fare poesia e a farlo in maniera originale. Del resto, chi non è debitore degli autori che ci hanno preceduto? Quella di Spurio è una poetica che si svolge tra impegno civile ed esistenzialismo, tra (ir-)realtà e visioni-apparizioni-epifanie-immagini ovvero – come le chiama lui – pareidolie che soltanto il poeta, con la sua particolare sensibilità, il suo particolare sentire e vedere riesce a cogliere e a farle diventare realtà poetiche. Il suo esistenzialismo non è mai mero esistenzialismo, cioè fine a se stesso, autoreferenziale; il suo non è mai mero ripiegamento verticale, ripiegamento dell’io su se stesso, dell’io che piange e si lamenta del proprio dolore, ma vuole essere orizzontale, cioè emblematico della condizione esistenziale di tutta l’umanità e, dunque, con valore universale. Il dolore personale, individuale non vuol essere altro che la metafora del dolore universale, del dolore del mondo di cui il poeta sente di doversi far carico affinchè i suoi messaggi siano, appunto, rivolti a tutti gli uomini e abbiamo un senso, un significato e un valore non soltanto per l’oggi ma soprattutto per il domani.

 

*Lorenzo Spurio è nato a Jesi (AN) nel 1985. Poeta, scrittore, critico letterario e operatore culturale, ha pubblicato varie opere in volume, su riviste e in antologie. Sue poesie sono state tradotte in spagnolo, catalano, portoghese e in altre lingue. Per la poesia si è interessato anche del panorama della poesia della sua regione, le Marche, con alcune pubblicazioni antologiche, saggi e incontri sul territorio. Ha prodotto saggi sulla letteratura – prevalentemente straniera – comparsi in rete, su riviste e opere collettane, tra cui quelli dedicati a Federico Garcia Lorca del quale è attento studioso. Nel 2021 ha creato il blog dedicato al poeta spagnolo “El mundo de Federico Garcia Lorca” dove inserisce suoi contributi critici e di terzi collegati a Federico Garcia Lorca. Ha tradotto dallo spagnolo poesie di Federico Garcia Lorca, Rafael Alberti, Concha Méndez, Miguel Hernandez, Luis Cernuda, Josémaria Alvarino, Dina Bellrham, Anahi Lazzaroni e Niní Bernardello. Nel 2011 ha ideato e fondato la rivista aperiodica di letteratura online “Euterpe” che nel 2022, a seguito di un riammodernamento, ha dato vita alla nuova versione della stessa denominata “Nuova Euterpe”. Sempre nel 2011 ha fondato il Premio Nazionale di Poesia “L’arte in versi” giunto nel 2023 alla sua dodicesima edizione. E’ stato presidente di Giuria del Concorso Letterario “Città di Porto Recanati – Premio Speciale Renato Pigliacampo” negli ultimi cinque anni e fino alla sua sospensione avvenuta nel 2019; è presidente di Giuria del Premio Letterario “Città di Chieti” e membro di giuria in vari premi letterari tra cui il “Tulliola” di Roma. Ha collaborato e collabora con le riviste “Il Mangiaparole“, “Xenia“, “Oceano News“, “L’area di Broca“, “Diwali“, “Lumie di Sicilia“, “Dedalus“, “El Ghibli“, “La Macchina sognante“, “Oubliette Magazine“. Sulla sua produzione letteraria si sono espressi, tra gli altri, Giorgio Barberi Squarotti, Pietro Civitareale, Dante Maffia, Cinzia Demi, Corrado Calabrò, Nazario Pardini, Ninnj Di Stefano Busà, Guido Oldani, Antonio Spagnuolo, Mariella Bettarini, Carmelo Mezzasalma, Francesca Luzzio, Matteo Bonsante e numerosi altri.

Opere poetiche: Neoplasie civili, Agemina, Firenze, 2014, Le acque depresse, in I grilli del Parnaso, PoetiKanten, Sesto Fiorentino, 2016, La testa tra le mani, Ass.ne Sena Nova, Senigallia, 2016, Tra gli aranci e la menta. Recitativo dell’assenza per Federico García Lorca, PoeitKanten, Sesto Fiorentino, 2016 [II edizione, 2020], Pareidolia, The Writer, Marano Principato, 2018, Era d’agosto / Era în august, Cronedit, Iasi (Romania), 2021 (versione italo-rumena), Il restauro delle linee, Ensemble, Roma, 2021, Rămâne vânt / Resta vento, Editura Cosmopoli, Bacău (Romania), 2023 (versione italo-rumena).

Opere di saggistica (critica letteraria): Jane Eyre, una rilettura contemporanea, Lulu Edizioni, 2011, La metafora del giardino in letteratura, Faligi, Aosta, 2011, Flyte & Tallis. Una analisi ravvicinata di due grandi romanzi della letteratura inglese: Espiazione di Ian McEwan e Ritorno a Brideshead di Evelyn Waugh, Photocity, Pozzuoli, 2012, Un infaticabile poeta palermitano d’oggi: Emanuele Marcuccio, Photocity, Pozzuoli, 2013, Ian McEwan: sesso e perversione, Photocity, Pozzuoli, 2014, L’aporia della vita in “La ballata di Adam Henry” di Ian McEwan, PoetiKanten, Sesto Fiorentino, 2015, La parola di seta. Interviste ai poeti d’oggi 2012-2015, PoetiKanten, Sesto Fiorentino, 2015, Scritti marchigiani. Diapositive e istantanee letterarie, Le Mezzelane, Santa Maria Nuova, 201  ; Cattivi dentro. Dominazione, violenza e deviazione in opere scelte della letteratura straniera, Helicon, Arezzo, 2018, La giovane poesia marchigiana, Santelli, Cosenza, 2019, Il canto vuole essere luce. Leggendo Federico García Lorca, Bertoni, Perugia, 2020, Inchiesta sulla poesia, Place Book Publishing, Rieti, 2021, La ragazza di via Meridionale. Percorsi critici sulla poesia di Anna Santoliquido, Nemapress, Roma/Alghero, 2021, Alberti canta sempre, Ivvi, Battipaglia, 2021, Il tuffo di Colapesce. Scritti sulla Sicilia: lettere, incontri e circostanze, Gruppo Culturale Letterario Edizioni, Pulsano, 2023.

Opere di narrativa (raccolte di racconti): Ritorno ad Ancona e altre storie, Lettere Animate, Martina Franca, 2012, La cucina arancione, TraccePerLaMeta, Sesto Calende, 2013, Apologia del perduto, Arpeggio Libero, Lodi, 2015, L’opossum nell’armadio, PoetiKanten, Sesto Fiorentino, 2015, Le due valigie e altri racconti, Alter Ego/Augh, Viterbo, 2018.

Traduzioni:  Dina Bellrham, Le iguane non mi turbano più, Le Mezzelane, Santa Maria Nuova, 2020, Anahi Lazzaroni, Il vento soffia / Qualcuno lo disse, Bertoni, Corciano, 2022, Dina Bellrham, La donna d’elio, VJ Edizioni, Milano, 2022.

Infine, numerose sono le sue curatele di poesia. Dal 20215 al 2022 ha ottenuto innumerevoli  e importanti riconoscimenti nazionali e internazionali.