Intervista a Don Pietro Martucci prete di strada della Calabria ideatore della “ Via Pacis” ispirata a Papa Francesco e che aprirà presto i battenti
Il parroco : “ il conclave ? Sarà rapido e come ai tempi di papa Pacelli, io voterei Parolin”
Don Pietro Martucci è un “prete di strada” della Calabria, ogni giorno a contatto con i bisognosi e gli ammalati. Serve le comunità delle parrocchie di “Nostra Signora di Lourdes” di Cammarata e “Auxilium Christianorum” in Vigne, frazione di Castrovillari in provincia di Cosenza, appartenenti alla Diocesi di Cassano allo Ionio. È sua l’idea progettuale di una “Via Pacis”, ispirata al magistero di papa Francesco e da realizzarsi a breve sul terreno adiacente alla chiesa “Auxilium Christianorum” . Il parroco ne spiega la mission, affrontando il tema della guerra. Parla, inoltre, della delicata questione del suicidio dei giovani che di recente ha toccato la sua città, Cassano allo Ionio. «Il conclave? Se fossi Cardinale voterei Parolin», dice.
Perché il cardinale Pietro Parolin?
«Perché è un moderato e ha una grande capacità di dialogo che in questo momento, data la complicata situazione geopolitica, è importante. Parolin in quanto Segretario di Stato Vaticano ha lavorato a fianco di papa Francesco e conosce i leader dei vari Paesi. Per esempio ha dialogato con la Cina. Insomma, è un esperto».
Prevede un Conclave rapido?
«Sì. A mio avviso, ci sono tutte le condizioni di quando venne eletto in tempi rapidi papa
Pacelli perché c’era la guerra.»
L’Ucraina e Gaza, due guerre che tengono il mondo con il fiato sospeso mentre la diplomazia arranca. Come se ne esce?
«Non solo l’Ucraina e Gaza, nel mondo abbiamo ben 68 conflitti. “L’arma” contro le guerre è il dialogo. Ursula von der Leyen in questo momento può dire che per costruire la pace bisogna fare la guerra? È una contraddizione. La guerra appartiene alla cultura della morte, noi dobbiamo fare prevenzione, seguire papa Francesco quando diceva “vengo da te con la bandiera bianca perché voglio trattare con te, non mi uccidere”. Questo hanno insegnato i grandi Pontificati come quello di papa Francesco e di Giovanni Paolo II e Giovanni XXIII prima. Il punto è che bisogna rimettere l’uomo al primo posto, al centro. E questo vale anche per l’immigrazione e il lavoro che manca perché abbiamo la centralità di un’economia che produce per se stessa. Il mondo è diventato una fabbrica di poveri».
In cosa consiste il progetto “Via Pacis”?
«È una via per aiutare chi verrà a percorrerla, a viverla. Sono previste 15 stazioni, ognuna con al centro un blocco in laterizio artisticamente lavorato recante il nome di persone del mondo laico e religioso che dal Novecento a oggi hanno perso la vita per la pace, come il generale Dalla Chiesa, il giudice Livatino, le vittime della strage di Capaci, Don Puglisi e Don Peppe Diana, per citarne alcuni. Il progetto nasce per coscientizzare la pace in un tempo come il nostro che a livello globale è sotto la minaccia nucleare. Ho anche proposto che una volta l’anno i detenuti – a due passi dalla parrocchia ci sono il tribunale e la casa circondariale – possano percorrerla in modo da poter riflettere, leggendo quei nomi, su cosa hanno prodotto con le loro azioni. È una “scuola” la via della pace.».
Ha ricevuto di recente il premio culturale “Artigiani di speranza” del Parlamento internazionale della Legalità, presieduto dal prof. Nicolò Mannino. Cosa ha significato?
«Non aggiunge niente, è la forma, ciò che conta è la sostanza . Certo, sono contento che l’opera sia stata considerata da un organismo che papa Francesco consultava».
Pochi giorni fa a Cassano allo Ionio, un ragazzo si è tolto la vita…
«Sì, siamo tutti addolorati. Anche il nipote del nostro governatore regionale si è tolto la vita di recente, era un ragazzo studioso… Dietro l’alto numero di suicidi c’è tutta la solitudine esistenziale. Dobbiamo interrogarci sul tema. Quando vado nelle case e chiedo: “dov’è tuo figlio? Mi rispondono: “chiuso in stanza, al telefonino”. Bisogna applicare il metodo di San Giovanni Bosco, prevenire e non aspettare che i ragazzi diventino “malati”, magari finendo nella trappola della droga e dell’alcol».
È difficile essere un prete di strada in Calabria?
«In alcune zone come Lauropoli, frazione di Cassano allo Ionio, dove sono arrivato dopo dieci anni trascorsi a Laino Borgo, paesino tra la Calabria e la Basilicata immerso nel Parco nazionale del Pollino, le problematiche, certo, sono tante: criminalità, droga, prostituzione, usura…».
Corre voce che Lei sia molto amato dalla comunità, è così?
«Ho sentito dire di anziani che chiedono ai loro figli di aiutarli a collegarsi per ascoltare la diretta dell’omelia la domenica. E che a Cassano più di qualcuno dica: “ Don Pietro e’ nostro”…Io posso dire che per indole mi piace stare in mezzo alla gente. È bello perché il dialogo non ti mette sul piedistallo, la gente perciò si apre ed allora si ha il polso della situazione. Cerco di arrivare a tutti, quelli vicini con la strada, quelli lontani con i social».
Lucia Stefania Manco