Trebisacce-12/12/2014:Le anfore ritrovate alla Chiusa di Trebisacce e la vasca della Metro C di Roma.

Ricostruzione salina ai Giardini di Trebisacce (da Locatelli)Anfore nel bacino idrico ritrovato durante i lavori della Metro C di Roma

Le anfore ritrovate alla Chiusa di Trebisacce e la vasca della Metro C di Roma.

Le anfore allineate, ritrovate a suo tempo in località Chiusa di Trebisacce, furono definite dalla Soprintendenza: “manufatti depositati in un magazzino”.

L’architetto Maurizio Silenzi Viselli, in una conferenza tenuta nella Sala Consiliare di  Trebisacce (pubblicata a cura della stessa Pro Loco: “Trebisacce svelata”), sostenne invece trattarsi, non di un magazzino, ma di un impianto di servizio alla chiusa idraulica del canale per l’alimentazione della salina ricavata nella zona degli attuali Giardini (vedi immagine 1: Ricostruzione, modificata da un dipinto del Locatelli, della salina di Trebisacce, con edificio per gli addetti e sistema di peschiera sulla prima vasca verso mare, con palificazione a zig-zag, analoga a quelle in uso in Puglia. Sullo sfondo il Golfo di Corigliano e la piana di Sibari). Spiegò anche che le anfore servivano proprio, sia a movimentare, chiudendo od aprendo i canali, l’acqua marina durante gli afflussi di alta marea, sia a creare dighe rettilinee. Esse infatti, grazie alla loro leggerezza, erano facilmente spostabili per le varie utilizzazioni.

Un saccente archeologo, di cui non ricordiamo il nome, si disse sorpreso ed incredulo di un tale uso, ribadendo, col sopracciglio alzato, l’ipotesi di un magazzino (assurdamente posto sulla battigia, che in quel tempo correva sulla linea dell’attuale vecchia 106. N.d.R.).

Molto bene, allora, è emerso in questi giorni a Roma, durante i lavori della stazione della Metro C a San Giovanni, il più grande bacino idrico mai rinvenuto al centro della città. La sua funzione era proprio quella di intercettare l’acqua di un corso d’acqua (Aqua Cabra) per alimentare la grande vasca (35×70 metri) utilizzata per l’irrigazione di un frutteto.

Sono emerse dagli scavi delle anfore allineate, ed altre sparse, che, guarda caso, servivano proprio, sia a regolare la movimentazione dell’acqua nei canali, sia a creare dighe rettilinee (come è facilmente visibile nell’immagine 2: le anfore allineate e, in alto verso destra, il loro utilizzo per bloccare il flusso nei canali). Guarda alle volte il caso. Evidentemente i Romani, sia della vasca, sia della Chiusa di Trebisacce, non informati delle ferme e competenti convinzioni dell’archeologo, le hanno invece utilizzate secondo il parere dell’architetto.

Naturalmente, la Soprintendenza, ben convinta, giustamente, che si trattava di un semplice magazzinetto, e non dell’elemento di un impianto dell’importanza definita nella conferenza, ha abbandonato il tutto alle sterpaglie.

Non solo, ma è di questi giorni la perentoria affermazione che il progetto del 3° megalotto Anas Roseto – Sibari “non procurerà danni archeologici”. Bene, visto che sono stati avvisati, sapremo a chi addossare la responsabilità quando, durante gli scavi per la superstrada, dovessero emergere nella piana di Sibari, le vestigia della città arcaica.

Non a caso, invece, l’architetto Maurizio Silenzi Viselli, nel Prologo della pubblicazione “Sibari, questa sconosciuta”, ha riportato un brano di Aulo Gellio nelle sue Noctes Atticae: “Un vecchio poeta, di cui non ricordo il nome, affermò che la verità è figlia del tempo“.

Associazione Culturale Jonica