Trebisacce-26/01/2016:IL GIORNO DELLA MEMORIA. Ricordare per non dimenticare

Salvatore La Moglie
Salvatore La Moglie

IL GIORNO DELLA MEMORIA. Ricordare per non  dimenticare 

           Di  Salvatore La  Moglie

Sono ormai sedici anni che rendiamo omaggio alle vittime della Shoah. Infatti il “Giorno della Memoria” venne istituito il 20  luglio del 2000, con la legge n.211. Perché si scelse il 27 gennaio come data  emblematica per celebrare la tragedia dell’Olocausto? Fu scelta questa data perché il 27 gennaio del 1945 la sessantesima armata dell’esercito sovietico entrò nel campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau e liberò i prigionieri  superstiti. Il mondo venne a conoscenza degli orrori nazisti.

Andare alle radici dell’antisemitismo, dell’odio verso gli ebrei ci porterebbe molto lontano e non è in questa sede il caso di fare un percorso che ci condurrebbe alla storia più antica per arrivare al più recente, anzi attuale ritorno dell’antisemitismo dovuto anche  alla polemica nei  confronti di Israele per la sua azione antipalestinese. Ci basti riflettere, in quest’occasione, su quello che è stato il nazismo per gli ebrei.  E’ vero che nella più recente storia moderna si sono avuti esempi di persecuzione dell’ebreo fino a giungere a veri e propri pogrom, cioè a veri e propri massacri. Mai, però, nella storia si era verificato quello che poi si  verificò col nazismo e con Hitler al potere. Si verificò qualcosa di veramente inedito e di incredibile che ha fatto pensare all’ideologia nazista e al suo Führer come al male assoluto;  ha portato gli ebrei a interrogarsi sul silenzio di Dio e ha portato la grande filosofa  Hanna Arendt a riflettere sulla banalità del male. Un male banale e assurdo fatto di camere a gas e di forni crematori in cui  furono eliminati quasi sei milioni di ebrei ma anche – non dimentichiamolo – tanti zingari,omosessuali, comunisti, militari, preti, dissidenti e oppositori del regime hitleriano.

La persecuzione e la successiva e progressiva eliminazione degli ebrei era nella mente e nei progetti di Hitler già prima che fosse al potere. La soluzione finale,  l’Olocausto, la Shoah (cioè la catastrofe, questo  significa la parola in lingua ebraica, e dunque, la distruzione degli ebrei) il feroce dittatore l’aveva sognata, immaginata e pianificata in quel terribile libro che scrisse in carcere nel 1924 e che si chiama Mein Kampf, cioè La mia battaglia. (Testo oggi riproposto al pubblico tedesco tra tante polemiche, ma forse è anche giusto che, con opportuni commenti, le giovani generazioni conoscano il volto del Male) La razza ebraica, sosteneva Hitler, è una razza malvagia e inferiore allo stesso tempo e, pertanto, va eliminata anche perché su di essa deve dominare la razza ariana che oggi si è incarnata nella popolazione tedesca, che è, dunque, quella superiore, destinata al dominio mondiale. E così, dopo le “leggi di Norimberga” del 1935, contro gli ebrei inizia la persecuzione. Si pensi alla notte dei cristalli nel 1938, ma il peggio doveva ancora venire e non sarebbe passato molto. E’durante la Seconda Guerra Mondiale, tra il 1942 e il 1945 che Hitler mette in atto l’Olocausto, in nome del razzismo, dell’ideologia malata della “razza pura” e in nome di un progetto  megalomenico  di dominio teutonico del mondo.

     I lager, i campi di concentramento e di sterminio più terribili e i cui nomi  restano scolpiti nella nostra mente sono: Auschwitz, Mauthausen, Dachau, BergerBelsen, Treblinka, Buchenwald… All’entrata di questi luoghi di sofferenza e di morte, moderne bolge dantesche, si poteva leggere questa beffarda frase: Arbeit macht frei, cioè  il lavoro rende liberi…. Si lavorava certo, eccome!, e poi si moriva nel modo più atroce, distrutti già nella propria dignità e nella propria umanità.  Su questa distruzione sistematica che era morale, psicologica e spirituale, prima di essere fisica, lo scrittore Primo Levi ha scritto centinaia di pagine e soprattutto quel capolavoro assoluto che è  Se questo è un uomo. Egli scrisse questo libro, come gli altri, per  un’esigenza personale certo, ma, anche,  per consegnare alle generazioni future la memoria dell’orrore e della bestialità umana che, ahimè!, riesce ad esprimersi nelle forme  e nei modi più impensati e più indicibili. E ci sembra impossibile che l’uomo – che pure riesce a raggiungere vette così alte – possa arrivare a progettare a tavolino qualcosa di tanto ripugnante come l’annientamento di tutto un popolo. Forse non si sbaglia Montale quando, in una sua celebre poesia, scrive che: La vita oscilla/ tra il sublime e l’immondo/ con qualche propensione per il secondo…

     Avviandomi verso la conclusione,  vorrei sottolineare che la celebrazione di questa giornata non deve essere vissuta all’insegna della retorica, della superficialità, dell’indifferenza o, anche, di una passiva presenza: già il solo riflettere su quella spaventosa e immane tragedia avvenuta appena settantadue anni fa, è tanto, è davvero tanto. Riflettere e ricordare. Riflettere e  ricordare che anche in Italia, nel 1938, Benito Mussolini – ormai legato al carro  di Hitler –  faceva promulgare leggi razziali contro gli ebrei italiani. Un’altra pagina brutta della nostra storia contemporanea che non deve essere cancellata dalla memoria storica collettiva.

     In nome di questa memoria e in nome del dovere che si ha di ricordare per non dimenticare, soprattutto ai  giovani vorrei consegnare questo pensiero del filosofo George Santayana, pregandoli di scolpirlo nella loro mente  e nel loro cuore: «Chi non ha memoria del passato è condannato a riviverlo». Tenendo presente, nello stesso tempo, che, come afferma Einstein,  «esiste una sola razza, quella umana».