Acri-22/05/2016:“Il Cattivo Maestro – Dante intimo”, il nuovo e appassionante saggio di Angelo Minerva ( Luisiana Ruggieri)

COPERTINA DEL SAGGIO IL CATTIVO MAESTRO DI ANGELO MINERVA
COPERTINA DEL SAGGIO IL CATTIVO MAESTRO DI ANGELO MINERVA

 

Lo scrittore Angelo Minerva ha recentemente pubblicato con Bibliotheka Edizioni un interessante saggio dal titolo “Il cattivo maestro – Dante intimo”. Attraverso un’analisi dettagliata e precisa, conduce, tra l’altro, il lettore a rivedere la genesi e le motivazioni che stanno alla base della composizione della “Divina Commedia”, ma lo fa da un’angolazione del tutto originale. Il suo stile è lineare e attraente, adatto non solo agli specialisti, ma anche a un più ampio pubblico.

Dante Alighieri, assetato di fama e alla ricerca dell’immortalità, scrive il suo capolavoro in volgare e non in latino, in quanto si rende conto che solo così il suo ambizioso progetto potrà realizzarsi a pieno. La pensa così Angelo Minerva nella sua originale e avvincente interpretazione critica della figura e dell’opera dell’insuperabile Poeta fiorentino. Indubbiamente, al di là delle reali motivazioni che stanno alla sua più profonda genesi, la complessa opera dantesca, che è uno dei capisaldi della letteratura mondiale, in molti punti manifesta caratteri e motivi scopertamente filosofici. È il caso, ad esempio, della classificazione e della collocazione dei dannati nell’Inferno.

Dante, infatti, classifica i peccatori secondo un principio attinto dalla filosofia aristotelica. Nell’Inferno trionfa la materia. Si tratta di un vero e proprio viaggio nella degradazione. In un paesaggio sconvolto e desolato compaiono precipizi, paludi, fiumi di sangue, deserti sterminati di sabbia, immense distese di ghiaccio. È uno spettacolo terrestre vario ma sempre cupo, nel quale non c’è bellezza, ma solo sofferenza, patimento, dolore anche se il poeta nei suoi canti inserisce delle pause narrative di straordinario fascino, vibranti di calda umanità: le vicende di Paolo e Francesca, di Farinata, di Pier delle Vigne e altro ancora.

“Lasciate ogni speranza, voi ch’entrate”: il celeberrimo ed epigrammatico verso n. 9 del III canto, nell’immaginario collettivo rappresenta un monito che incute terrore e allo stesso tempo invita fatalmente alla rassegnazione.

Dante entra, così, nell’Inferno col poeta classico Virgilio, varca la soglia dove stanno gli Ignavi, spiriti che non seppero fare né il bene né il male. Attraversato il fiume Acheronte si arriva al Primo cerchio, il Limbo, dove si trovano le anime di coloro che pur non avendo colpe ignorarono il cristianesimo, per essere vissuti prima di Cristo o comunque fuori dalle sue leggi. Dante, a differenza della teologia scolastica e tomistica, ospita qui anche i saggi e gli eroi pagani, cercando così di esprimere una propria opinione, ampliando i limiti che il Medioevo cristiano poneva alle possibilità o meno della salvezza spirituale.

Egli con la sua guida passa per nove cerchi, incontrando Lussuriosi, Golosi, Avari e Prodighi, Iracondi e Accidiosi, Eretici, Violenti ecc.

L’Inferno dantesco non è altro che una voragine scavata nei pressi di Gerusalemme; essa si fa sempre più stretta nei suoi cerchi concentrici, via via che si procede verso il basso, infatti ha la forma di un “cono capovolto”; sul fondo c’è Lucifero che con la sua rivolta tradì Dio e che maciulla nelle sue tre bocche Bruto e Cassio, a loro volta traditori di Cesare, e Giuda che tradì Cristo. Il tradimento si pone così all’acme della condotta peccaminosa e negativa non solo degli esseri umani ma anche delle entità spirituali, basandosi su un preciso e deliberato progetto di operare il male per l’altrui danno. Dopo questo lungo percorso c’è la risalita, lenta e faticosa, attraverso la “natural burella”, che conduce nel bel mezzo dell’emisfero australe, dove si erge la più alta montagna del globo. Dante scalerà le sette cornici che cingono la montagna del Purgatorio dove si dispongono le anime penitenti: più si va verso l’alto, minore è la gravità della colpa. Sulla vetta del monte è collocato il paradiso terreste, allietato dai fiumi Letè ed Eunoè. È qui che incontra Beatrice, la donna tanto amata in chiave stilnovistica, che sarà da ora la sua nuova e valida guida. Virgilio, infatti, all’improvviso e silenziosamente, è scomparso. Dante può chiudere finalmente il cerchio sentimentale che lo lega letterariamente alla sua donna dai tempi della “Vita nova” e specchiarsi attonito ed estatico nella luce abbagliante di Dio. Il Paradiso è pura luce, la medesima che troviamo nel Corano, “la sura della luce”: ancora una volta Dante si accosta ad altre filosofie.

In cima, sulla Vetta, c’è la gloria, come giustamente aveva affermato Plotino nella sua Metafora, alla quale solo a pochi è concesso di arrivare. Dante è tra questi. Trasportato dal suo ego, corroborato da una smodata ambizione, supera ogni limite umano, ponendosi come modello e, a sua volta, guida per l’intera umanità. E lo strumento, monumentale e poeticamente eccelso, per giungere a tanto e per riscattarsi dalla malvagità dei suoi simili e dalle conseguenze dei propri umani errori è, come viene sostenuto nel saggio in questione, proprio la “Divina Commedia”.

Il comportamento di Dante nei confronti dei suoi amici e colleghi poeti non appare, però, proprio cristallino. È stato, quindi, anche lui una sorta di traditore? Guido Cavalcanti, Brunetto Latini, Cino da Pistoia avrebbero forse, chi più chi meno, da lamentarsi nei suoi confronti… È molto chiaro in tal senso il saggio “Il cattivo maestro – Dante intimo”!

A questo punto è lecito porsi la domanda: perché Dante è stato “un cattivo maestro”? Ma per scoprirlo dobbiamo leggere l’interessante e brillante lavoro di Angelo Minerva.