Trebisacce-08/01/2017:La povertà della Croce (di Pino Cozzo)

La povertà della Croce

di Pino Cozzo

 

Paradossalmente, è nella povertà voluta, nella povertà scelta che la povertà involontaria della condizione umana trova la sua vera identità, arricchendosi di Lui che si è spogliato, affinché col nostro spogliarci in Lui noi possedessimo tutto nel “possedere Dio”, e fossimo, così, in grado di condividere il dono con gli altri, il nostro intimo benessere che la nostra povertà esteriore attesta di essere in grado “di portare il Suo amore sulla terra”. La pienezza di Gesù fu la prima espressione di povertà scelta, e rimarrà sempre il suo modello e la sua fonte. La Sua e la nostra povertà trovano fondamento, motivazione e forza solo nell’amore. Solo l’amore ha portato Gesù alla Sua pienezza; la Sua povertà non ha costituito un valore in sé stesso, ma un’espressione, anzi una necessaria espressione, di amore. Uno spirito, un desiderio, di una certa povertà, è il requisito per il nostro amare come Gesù ci ha amato; non solo perché Gesù ci ha amato attraverso la povertà, ma perché la povertà stessa è alla base della natura, dell’intima struttura dell’amore, della compassione. L’amore porta al desiderio di condividere, ma la condivisione richiede uno spogliarsi di sé per dare ciò che è nostro e prendere le necessità o le sofferenze degli altri. L’amore porta al servizio, ma il servizio richiede un intimo annullamento, un’intima povertà che dispone al servizio e alla povertà esteriore che rende liberi per servire. Per amore, Gesù si fece povero. Per amore, anche noi dobbiamo farci poveri: poveri per condividere e poveri per servire, abbastanza liberi per dare testimonianza del vangelo che predichiamo. Coloro i quali il Signore ha benedetto materialmente devono ricordare che l’abbondanza non è per noi, ma deve passare dalle nostre mani in quelle in necessità. La povertà esteriore di Gesù non può essere considerata semplicemente funzionale alla Sua vita e alla sua missione. Uno sguardo attento alla Sua vita rivela quella povertà come una costante manifestazione esteriore della Sua povertà interiore, la povertà del Suo sì d’amore al Padre. Poiché la Sua non fu una povertà casuale, essa non può essere ignorata o sottovalutata. Lui stesso ha cercato quella povertà, Se Gesù era povero, perché non possiamo esserlo noi che dobbiamo essere un segno di Cristo, un altro Cristo? Il raggiungimento di quel grado di povertà che il Signore chiede a ciascuno di noi necessita un graduale processo di pienezza intima ed esteriore. Interiormente, avvertiremo la necessità di vivere l’umiltà di Gesù, di ritrovare l’intima libertà del distacco dall’ambizione e dal possesso, cercando l’ultimo posto, quell’essere piccoli  come fanciulli che solo ci farà guadagnare l’ingresso nel regno. Esteriormente, gradualmente sentiremo la necessità di rendere semplice la nostra vita, di vivere la povertà evangelica più pienamente, di incarnare il nostro spirito nell’intima povertà, scegliendo di non possedere o di non usare il lusso. “Gesù poteva avere tutto. Scelse di non avere nulla … Il nostro Signore non aveva dove poggiare il capo, e quale vergogna sarebbe per i Suoi collaboratori vivere in una casa riccamente arredata con ogni lusso e bellezza e senza aver bisogno di nulla” (Mt). La povertà esteriore non solo esprime, ma rafforza il nostro sì a Dio. Anche se ora non ci sentiamo pronti a rispondere pienamente al suo invito, non “andiamocene tristi” come il giovane ricco, non ricusiamo l’idea, ma manteniamo l’ideale, certi che “il Signore che ha iniziato questa buona opera in noi la porterà a compimento” per la sua gloria.