Trebisacce-25/02/2017:William Shakespeare, il genio del dramma (di Pino Cozzo)

Pino Cozzo

William Shakespeare, il genio del dramma

di Pino Cozzo

 

La maggior parte dei problemi che nascono nel leggere Shakespeare iniziano dall’assunto che dovrebbe esserci un modo per spiegare tutto ciò che accade in una tragedia: se ci sono cose che non si possono spiegare dipende dalla nostra incompetente lettura e non da Shakespeare. Potremmo ottenere altri risultati, se noi partissimo dall’assunto che non possono esserci preconcetti sulla loro infallibilità. Altri assunti si possono fare su Shakespeare, alcuni dei quali sono discutibili. Per esempio, è facile ed utile pensare che Shakespeare condivise le nozioni elisabettiane sulla morale, la politica e la psicologia, che possiamo ritrovare leggendo i lavori dei moralisti, psicologi e statisti elisabettiani. Sarebbe discutibile assumere che Shakespeare pensò e concepì ogni avvenimento come potremmo fare noi; tuttavia, lo studio sul tempo passato potrebbe darci il senso dei possibili modi di pensare, i sentimenti in gioco che esistevano al tempo di Shakespeare, partendo dall’assunto che alcuni modi erano possibili ed altri no. E, ad ogni buon conto, questi studi pregressi, sembrano essere indispensabili. Si potrebbe perdonare che si pensasse che non ci siano pericoli nello studio delle cose passate che sono altrettanto grandi rispetto al loro rifiuto. Le opere di Otello e Antonio e Cleopatra impersonano il nostro pensiero sull’amore, il matrimonio e la guerra, e comunque ci portano alle varie nozioni di ciò che significasse la complicata parola “onore”. Ad un uomo avvezzo a considerare la propria moglie come un bene mobile e personale, Otello sarebbe probabilmente sembrato profondamente sovversivo ed altamente offensivo: sia Otello che Antonio sollevano scomode questioni riguardo all’amore. Il Re Lear ci fa pensare ai doveri dei figli nei confronti dei genitori e dei soggetti ai re, sostenuti da ciò che pensiamo siano le nozioni elisabettiane sulla Famiglia sul Comandamento, con un misto di cristianità elisabettiana e moderna, e non è difficile vedere Lear come un pellegrino verso la redenzione, un pellegrino che scopre tante verità. Il suicidio, per esempio, nel diciassettesimo secolo si riteneva fosse un peccato. Al tempo di Shakespeare, la Chiesa d’Inghilterra, come la Chiesa cattolica, condannava rigidamente la sepoltura in terra consacrata chi si fosse suicidato. In Shakespeare, vi è un profondo contrasto tra il punto di vista del suicidio nelle opere romane e in quelle che hanno come sfondo più o meno l’aspetto cristiano: nelle opere romane, non vi è orrore superstizioso del suicidio e, spesso, viene inteso come onorevole (Bruto, Cassio, Antonio). Nell’Amleto, la dubbia morte di Ofelia e la scena in cui viene sepolta è piena di riferimenti al convenzionale rigetto elisabettiano del suicidio. Alcuni potrebbero obiettare che questo tipo di antistoricismo sia piuttosto ortodosso. Gli storicisti sono stati sconfitti alcuni anni fa, ed oggi noi riteniamo che dobbiamo leggere le opere di Shakespeare così come sono, piuttosto che tener conto di ambigue assunzioni di studiosi.