Trebisacce-28/01/2018: Andrea Petta abbandona il PD

Andrea Petta

Dopo 10 anni di militanza, ho deciso di abbandonare il Partito Democratico. Negli ultimi anni, con l’avvento alla Segreteria di Matteo  Renzi, ho avvertito in maniera sempre più crescente un disagio ed un malessere profondo per il solco sempre più evidente che si veniva determinando tra la mia tavola valoriale e i miei modelli culturali di riferimento e le concrete politiche adottate dal Partito in cui mi trovavo a militare.

Il PD, secondo il mio parere, confortato dalle analisi di autorevoli commentatori e politologi, ha subito una vera e propria mutazione genetica, oserei dire antropologica, rispetto agli originari tratti costitutivi e fondativi, con una deriva neocentrista sostanziantesi nell’adozione di politiche figlie di schemi culturali assimilabili a quelli delle destre.

Innanzitutto, negli stessi metodi, negli atteggiamenti, negli stilemi comportamentali. Il Segretario Nazionale, Presidente del Consiglio dei Ministri dal febbraio 2014 al dicembre 2016, ha interpretato, a mio sommesso parere, il suo duplice ruolo in maniera autocratica, tendenzialmente autoritaria, con l’esercizio di una leadership personalistica, chiusa nel recinto autoreferenziale del suo più immediato entourage, il c.d. giglio magico. Corollario di tale esondazione egotistica, l’insofferenza malcelata per la dialettica e per il dibattito interno e la consequenziale marginalizzazione del dissenso delle minoranze, trattate con disprezzo ed irrisione. Matteo Renzi ha cercato di costruire un Partito, in cui il principale, se non esclusivo criterio di valutazione per la per selezione del gruppo dirigente, è stato il grado di fedeltà al capo, come è emerso, tra l’altro, in maniera singolarmente pregnante, nella recente vicenda della composizione delle liste per le prossime elezioni politiche.

Il Segretario, tra l’altro, aveva pubblicamente garantito che mai avrebbe accettato l’incarico di Presidente del Consiglio dei Ministri senza essere a ciò legittimato da una previa consultazione elettorale.

Aveva, altresì, affermato in più occasioni, pubblicamente e solennemente, anche in ambiti istituzionali quali il Consiglio dei Ministri, che, in caso di esito negativo del referendum costituzionale del 4 dicembre 2016, avrebbe abbandonato la vita politica, unitamente ad altri esponenti di spicco del suo gruppo dirigente.

Già il non mantenere la parola data nei rapporti interpersonali è indice di inaffidabilità, slealtà, assenza di serietà. Ma se ciò avviene quando si ricopre una carica politico-istituzionale di primissimo livello, viene meno lo stesso pactum fiduciae con il corpo elettorale, verso il quale si manca di rispetto e che viene tradito, ingannato, turlupinato.

L’On. le Boschi, tra l’altro, in occasione della discussione della mozione di sfiducia alla sua persona, aveva asserito di non essersi mai interessata delle vicende di Banca Etruria. I fatti, di cui si è venuti a conoscenza successivamente, hanno dimostrato il contrario. È acclarato, pertanto, che l’On. le Boschi, ha detto il falso, mentendo in Parlamento, l’organo direttamente ed immediatamente rappresentativo della comunità nazionale. È come se avesse mentito al Popolo italiano. Simili comportamenti in altre democrazie avrebbero significato l’inevitabilità delle dimissioni e della definitiva fuoriuscita dalla vita politica.

Ed ancora, l’alleanza organica e strutturale con componenti politiche (Alfano, Verdini, Lorenzin, etc. ) che, per formazione culturale, sistema valoriale di riferimento, modalità stesse di intendere ed interpretare l’agire politico, avrebbero dovuto essere  considerate lontane ed estranee.

Nel merito, limitandosi soltanto alle questioni più rilevanti e di maggiore impatto sociale, si sono consumati strappi non più recuperabili: senza poter approfondire ed in estrema sintesi,

  1. il Jobs Act ha preteso di combattere la disoccupazione, istituzionalizzando la flessibilizzazione e la precarizzazione del lavoro e delle esistenze;
  2. il referendum sulle trivelle, con la scelta dell’astensione e l’irridente “ciaone” di Ernesto Carbone, ad insultare ed offendere milioni di elettori, ha certificato la subalternità agli interessi economici e alle energie fossilizzate delle lobby e delle multinazionali del petrolio;
  3. la c.d. “Buona scuola”, ha operato l’aziendalizzazione dell’istruzione, con l’abnorme sovradimensionamento del ruolo del dirigente scolastico, in una concezione verticistica e gerarchicizzata della struttura organizzativa di riferimento. La concessione di sgravi fiscali alle famiglie che intendono iscrivere i propri figli alle scuole private è stato chiaramente un espediente per aggirare il dettato costituzionale, che riconosce sì il diritto all’esistenza delle scuole private, ma sancisce chiaramente che esse debbono operare “senza oneri per lo Stato”;
  4. La legge Delrio, al di là del merito, discutibile, con l’abolizione delle Province, che storicamente si sono dimostrate gli enti sovracomunali più vicini alle esigenze dei territori, ha disposto norme “in attesa della riforma della Parte seconda del Titolo V della Costituzione”, riforma bocciata dal referendum costituzionale.  

Ed ancora, la considerazione dei sindacati come intralcio e ostacolo ai processi decisionali e non come interlocutori rappresentativi di istanze sociali, l’approvazione di una pessima legge elettorale, congegnata per penalizzare le opposizioni, con il ricorso a ripetuti voti di fiducia; il torbido groviglio di interessi con il mondo bancario, in un sistema di potere familistico, fatto di zone d’ombra, di opacità, di legami limacciosi.

Ed ancora, in una dimensione di complessiva Weltanschauung, l’acquiescenza alle logiche e agli interessi delle elitès dominanti della grande finanza, l’acritica adesione al pensiero unico del turbocapitalismo neoliberista. 

Il Pd renziano è stato il partito dell’establishment, vicino a Marchionne, ai petrolieri, ai finanzieri, ai banchieri, agli imprenditori amici (Carrai, Serra, Farinetti, etc.), in un network di politica, affari, lobby, recidendo, in maniera netta e radicale, il cordone ombelicale con il patrimonio ideale della Sinistra politica.

La divisione con la Destra è sembrata sostanziarsi soltanto su alcuni temi eticamente sensibili e sui diritti individuali (unioni civili, biotestamento), che attengono, però, ad una sfera ed ad una dimensione prepolitica.

Sono pertanto venuti meno l’impianto valoriale e i principi fondativi alla base del progetto originario del Partito Democratico, che non mi rappresenta e nel quale non mi riconosco più.

E’ la mia stessa coscienza, la stessa legge morale che alberga dentro di me ad impedirmi categoricamente di rimanerci ancora.

Andrea Petta