Trebisacce-16/06/2017:AUTONOMIA E FUNZIONI (di Pino Cozzo)

Pino Cozzo

AUTONOMIA E FUNZIONI

di Pino Cozzo

 

Il nostro paese, fino quasi alla fine del secolo scorso, possedeva un sistema formativo  centralizzato, sul modello francese: la presenza di un’organizzazione politica debole  aveva impedito la riforma della scuola secondaria di II grado. Infatti, se l’istituzione scolastica può essere cambiata solo con le leggi, è difficile farlo  quando i governi durano in media meno di un anno (tanto più col bicameralismo che rallenta  oltremodo il processo legislativo). Certo si era sviluppato un forte movimento di sperimentazione, ma la centralizzazione del sistema aveva reso impossibile farne la base di una trasformazione complessiva. Il dibattito sull’autonomia scolastica comincia all’inizio degli anni ‘90, durante la Conferenza nazionale della scuola, ed è inquadrato da subito nella riforma complessiva della pubblica amministrazione, che si realizza finalmente nel 1997. L’articolo 21 della legge n. 59 attribuisce alle scuole, oltre alla personalità giuridica, dei livelli di autonomia organizzativa e didattica, grazie al trasferimento ad esse di un buon numero di funzioni prima espletate dal Ministero e dai Provveditorati agli studi. Ogni istituto scolastico acquista libertà d’organizzazione, per realizzare  flessibilità e diversificazione, in un’ottica di efficienza ed efficacia, utilizzando nel modo migliore le strutture e introducendo tecnologie innovative, coordinando la scuola con il territorio. Ogni istituto è libero di scegliere le metodologie, i tempi e i modi dell’insegnamento, potendo anche  inserire contenuti aggiuntivi, per raggiungere gli obiettivi generali del sistema nazionale d’istruzione, rispettando però la libertà d’insegnamento, quella di scelta educativa delle famiglie e  il diritto ad apprendere. Vi è anche libertà di ricerca e di sperimentazione e, inoltre, l’autonomia si ripropone di ampliare l’offerta formativa Il regolamento dell’autonomia scolastica, del 1999, chiarisce meglio i contenuti didattici.  Infatti, è superata la precedente uniformità educativa sul territorio nazionale: l’autonomia si  propone di rispondere ai bisogni di formazione, ormai molto diversi, tenendo conto delle caratteristiche sociali e culturali degli studenti e della domanda delle famiglie. Perciò, nell’ambito degli obiettivi generali del sistema nazionale, cerca di portare tutti gli studenti, attraverso percorsi individualizzati, al successo formativo. A tale scopo deve essere realizzato, da ogni scuola, il Piano  Triennale dell’Offerta Formativa (PTOF), che deve chiarire la “progettazione curricolare, extracurricolare,  educativa e organizzativa”. Il PTOF, vero e proprio strumento d’identificazione di ogni scuola, permette anche sperimentazioni didattiche volte a modificare fino al 15% del monte ore del programma nazionale (limite poi portato al 20%). Sul piano normativo, l’autonomia scolastica trova infine il suo coronamento nella modificazione del Titolo V della Costituzione, avvenuta nel 2001, che ne sancisce l’inserimento fra le autonomie dello Stato italiano. Nonostante alcuni iniziali  elementi positivi, soprattutto legati alla maggior autonomia organizzativa e didattica, non sono seguiti provvedimenti legislativi volti a un effettivo sviluppo. Inoltre sono soprattutto mancati i cambiamenti per quanto riguarda la gestione delle risorse finanziarie e del personale, fattori cardine di un reale decentramento. Anzi, la progressiva riduzione dei finanziamenti nazionali ha portato a ricercarne sul piano locale, con la conseguenza di aumentare le diseguaglianze territoriali, già tradizionalmente presenti nel nostro paese. Queste trasformazioni hanno, ovviamente, mutato in modo sostanziale il ruolo dei capi d’istituto: le modificazioni, avvenute durante tutto il decennio degli anni ‘90, hanno trovato la loro consacrazione con l’introduzione della funzione dirigenziale, attuata, insieme all’avvio formale dell’autonomia delle scuole, nel settembre del 2000. In tutti i sistemi formativi, l’autonomia degli istituti scolastici ha contribuito a rafforzare la posizione dei dirigenti: La situazione è però difficile, poiché i limiti, già sottolineati, della gestione delle risorse finanziarie e del personale, rendono particolarmente arduo, per i capi d’istituto, lo svolgimento dei compiti loro assegnati, avendo molte nuove responsabilità rispetto ai risultati ma pochi strumenti per realizzarli.