Trebisacce-10/05/2018: Ricordando Michele Lofrano all’unitre (di Gianni Mazzei)

Michele Lofrano

Gianni Mazzei

Ricordando Michele Lofrano all’unitre

L’hanno fatto il preside La Polla, l’amico La Moglie, il figlio Franco, l’amico Costantini e, in modo particolare, gli amici dell’associazione, ricordando la sua simpatia, la sua signorilità, la battuta elegante per dare leggerezza alle cose.
Mi permetto di fare qualche mia considerazione, su Michele ,poeta.
La cosa essenziale della poesia è lo stupirsi, vivere il mistero dell’esistenza nella semplicità, nel senso dell’appartenenza al proprio ambiente, all’umanità e a ciò che è peculiare dell’umanità: la parola.
Michele si raccontava e raccontava la dolcezza esplosiva del quotidiano, la furbizia bonaria del popolo che nasce non per fare del male, ma per sopravvivere alla miseria, alle avversità. Raccontava la creatività pratica del popolo, una forma dimessa dell’intelligenza di Ulisse, la metis: l’intelligenza pratica.
E la raccontava in versi e in rima: la rima è la musicalità delle cose, il sentirne l’anima, è la coralità del popolo nelle grandi circostanze, liete e tristi, dai brindisi durante la festa ai lamenti per le disgrazie.
Ma è anche sforzare la mente per avere, nella rima, un lampo di genio: come in un suo verso, che potrebbe avere significati profondi sia filosofici che teologici, quando mette in rima “ mistero “ e “ vero”.
A lui la parola serviva come al muratore le pietre, i mattoni, per costruire case, costruzioni di senso, ma che possono essere abitabili e non mausolei e salotti dei “ poeti laureati”, come dice Montale, che fanno sfoggio di cultura che poi è solo spocchia e narcisismo.
Michele si considerava, con orgoglio “ un ingegnere senza laurea”: costruiva con gli altri e per gli altri, quelle piccole costruzioni, verbali e affettive, per ritrovarsi, per dialogare in convivialità.
Come è avvenuto stasera,nella parola, e nel gaudio del buffet offerto dal figlio.

Gianni Mazzei